Saluti romani, l’amnesia di Repubblica

Saluti romani, l'amnesia di Repubblica

La notizia è che Repubblica ha scoperto le elezioni Regionali: dopo mesi passati a occuparsi in prima pagina di un presunto ritorno del Fascismo (ieri il Giornale ha contato 211 (…)

(…) citazioni in 147 giorni, record tra tutta la stampa nostrana) ecco che l’apertura di copertina, ieri, era dedicata appunto alle Regionali e a possibili frizioni di maggioranza: mentre la notizia sulla sentenza a sezioni unite della Cassazione, intesa come titolo, non c’era.

Il Corriere della Sera invece dedicava alla questione l’apertura di prima pagina («Il saluto romano è reato solo se c’è pericolo fascista») mentre altri come la Stampa, sempre in prima pagina, titolavano un po’ scorrettamente «Il saluto romano non è reato, esulta soltanto l’ultradestra» e persino sul Fatto Quotidiano occhieggiava un imbarazzato «In alcuni casi il saluto romano non è reato». Quali casi? Praticamente tutti, visto che si trattava di stabilire se per alcune commemorazioni in cui è comparso il braccio alzato (si è partiti da un processo milanese del 2016) la giurisprudenza dovesse prefigurare un tipo di reato oppure un altro: ossia la Legge Scelba del 1952 o la Legge Mancino del 1953. La Cassazione ha indicato la prima, più specifica sul fascismo: ha stabilito una volta per tutte che il saluto romano non è reato se il braccio viene alzato per «commemorare» (sempre o quasi, pare a noi e alla magistratura giudicante) ma solo se si accompagna a un «concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista» (mai, pare a noi e alla magistratura giudicante). Ed è vera una cosa: l’uniformità dell’interpretazione riguardante l’opzione Legge Scelba, ora, dovrebbe garantire un’assoluzione nella maggior parte dei casi, così come, al contrario, se avesse prevalso l’opzione Legge Mancino, sarebbe stato probabile un cospicuo aumento del numero di condanne.

Ma il pericolo è ancora dietro l’angolo. In un articolo interno, Repubblica, ieri, spiegava che «non è difficile prevedere che, da ora in avanti, le braccia tese a fini commemorativi possano moltiplicarsi». Anche in una rassegna stampa del Corriere della Sera, «Prima ora», non c’erano dubbi: «Ci saranno molte commemorazioni fasciste, ancora più di prima. Già erano tante… è prevedibile che le adunate commemorative si sprecheranno».

Per ora è il contrario. Le manifestazioni commemorative registrano un calo di partecipanti in tutte le forze politiche, e anche nell’estrema destra si risente di un carattere più sommesso delle celebrazioni: dal 1976 al 2014 le manifestazioni tendevano a inquadrarsi in veri percorsi di marcia (con fiaccole, tamburi, bandiere, striscioni) ma successivamente, per auto-imposizione e anche per consiglio delle questure, le coreografie sono state eliminate a vantaggio di una dinamica cosiddetta più «stanziale»: le tappe dei più luoghi commemorativi era raggiunte in ordine sparso, alla spicciolata.

Ora la ricerca di prove riguardanti un «concreto pericolo di ricostituzione del Partito fascista», come impone la Legge Scelba, rischierà di scivolare su risvolti paradossali com’è capitato a un recente processo milanese che additava la commemorazione annuale di Sergio Ramelli: erano presenti Casapound, Forza Nuova e Lealtà e Azione, e, nel caso di quest’ultima, gli approfondimenti della Digos volti a dimostrarne la pericolosità fascista portarono alla dimostrazione che Lealtà e Azione «organizzava concerti», racconta oggi Luca Procaccini, legale di un manifestante, «e che raccoglieva cibo per gente in difficoltà: l’organizzazione era anche accreditata al Banco alimentare». Poi, nel 2017, la commemorazione di Ramelli non fu contestata, racconta ancora Procaccini: «I ragazzi, al posto del saluto romano, fecero quello dei gladiatori, portandosi la mano al petto». Anche un paio d’anni fa, durante la pandemia, la commemorazione non fu denunciata: «Fioccò solo qualche multa, i ragazzi erano usciti durante il lockdown».

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