«La democrazia è sotto assedio». Parola di Walter Veltroni che sull’Huffington Post ci regala un articolo in cui parla di Donald Trump, ma pensa a Giorgia Meloni. Il sottinteso si nutre di un consiglio non scritto. «Bisogna fermare chi mette in pericolo la democrazia». Niente di nuovo (e da Veltroni era difficile aspettarselo) semplicemente la riproposizione del vecchio «unfit to rule» (inadatto a governare) propostoci nel 2003 dal settimanale inglese Economist. In entrambi in casi si fa, e si faceva capire, che per salvare la democrazia può esser lecito usare metodi antidemocratici.
Oggi il modo migliore per rilanciare il grido di battaglia caro alla sinistra è inneggiare allo stop di un Trump pronto a riconquistare la Casa Bianca.
Il bersaglio da questo punto di vista è banale, ma obbligato. Rilanciandolo Veltroni si limita a interpretare quanto già meditano i consiglieri di Biden e gli opinionisti del New York Times. Del resto «The Donald» è il nemico perfetto per i «dem» dei due mondi. Una sua vittoria farebbe cadere oltre a Joe Biden anche tutte le illusioni «liberal». Ucraina ed Europa comprese. Ma per evitarlo bisognerà fermare Trump riproponendo la vecchia via giudiziaria, già tentata con Berlusconi. O qualcosa di peggiore. Far saltare il banco della democrazia in un paese polarizzato e pesantemente armato come l’America
rischia di non essere, però la soluzione più lungimirante. Non è davvero il caso di metterla sul piatto della vittoria. Anche perché come si è visto alle precedenti presidenziali dopo un Trump può sempre arrivare un Biden. Ma se salta la democrazia americana il capitolo successivo è solo il caos.