L’esilio dall’Istria diventa un film. Ed è subito polemica

L'esilio dall'Istria diventa un film. Ed è subito polemica

Ci sono storie comode, che è facile raccontare perché generalmente accettate, e anzi celebrate. E ce ne sono altre, invece, che disturbano perché a lungo occultate, travisate, addirittura negate. Così, ancor prima della messa in onda, ha suscitato palesi irritazioni La rosa dell’Istria, il film tv che (tratto dal romanzo di Graziella Fiorentin Chi ha paura dell’uomo nero?, e diretto da Tiziana Aristarco) vedremo lunedì 5 febbraio su Raiuno. Il motivo? Il film racconta la storia dell’esodo dall’Istria dei profughi istriani e dalmati, dal 1943 in poi costretti dai partigiani comunisti di Tito ad abbandonare terra, casa e lavoro, per vagare in cerca d’identità e dignità. Non basta: il film della Aristarco è stato presentato lo scorso dicembre assieme a molti altri titoli, fra i quali però vennero notati soprattutto La lunga notte (sui fatti del Gran Consiglio del 25 luglio 1943) e L’Italia chiamò (biopic su Goffredo Mameli).

Quanto bastava, insomma, per accusare la direttrice di Rai Fiction, Maria Pia Ammirati, di pronto ossequio al nuovo corso della cosiddetta Tele Meloni. «La rosa dell’Istria è stato progettato e scritto tre anni fa, un anno e mezzo prima dell’arrivo di questo governo ripete per l’ennesima volta, sospirando, la Ammirati – Escludo quindi categoricamente che si sia pensato a chissà quale altra narrazione». Certamente, ammette, il fatto che in questo film il punto di vista storico sia opposto a quello comunemente accettato (per dirne una: i partigiani rossi fanno tutt’altro che la figura degli eroi) è una novità: «Il principio che guida Rai Fiction nella scelta dei soggetti è: illuminare tutti gli aspetti della memoria di questo Paese. A maggior ragione quando si tratta di storie poco raccontate come questa. L’Italia non ha ancora una memoria condivisa. Ma quando potrà mai averla, se non si parla di tutti, piuttosto che di una parte sola?». Molti conoscono solo in parte, o nient’affatto, la tragedia degli esuli istriani, riflette la Ammirati; «E dopo aver visto questo film forse qualcuno andrà a rileggersi i libri di storia. Oppure capirà meglio qual è il dramma vissuto da altri esuli che, oggi come ieri, sono costretti a fuggire disperati dall’Ucraina, o da Gaza».

Prima ancora che politico, peraltro, La rosa dell’Istria (coprodotto da Rai Fiction, Publispei e Venicefilm, e trasmesso in vicinanza del Giorno del Ricordo, il 10 febbraio) è un dramma soprattutto umano. Con notevole sforzo produttivo (80 circa le location) segue il travagliato peregrinare della famiglia Braico che, stretta tra i tedeschi e i fascisti organizzatisi a Salò, e i comunisti di Tito calati dalla Jugoslavia per annettersi l’Istria, abbandonano tutto nel loro paese di Canfanaro (oggi Croazia) soprattutto per un motivo: «rimanere italiani». Lo ricorda il produttore Alessandro Centenaro: «In sei, otto anni furono più di 350mila gli istriani e i dalmati che, messi davanti al bivio se restare e diventare jugoslavi, finendo sotto i comunisti, oppure andarsene e restare italiani e liberi, decisero di abbandonare letteralmente tutto». Senza peraltro trovare nell’Italia libera l’accoglienza che si sarebbero aspettati: «Pur essendo italiani a tutti gli effetti, per nascita e per scelta, venivano visti come un corpo estraneo. Invasori che portavano via il pane, le case, il lavoro. E non contò che molti vivessero nelle baracche, o si fossero subito rimboccati le maniche per costruirsi un futuro. Con i loro beni furono pagati alla Jugoslavia i danni di guerra. E loro non furono mai indennizzati. Verso questi sciagurati, insomma, ci fu un vero e proprio razzismo».

Privata delle radici e alla ricerca di una nuova identità, la famiglia Braico reagisce alla sventura in modi diversi. Mentre il padre Antonio (Andrea Pennacchi) pur essendo medico si adatta a fare l’operaio, Maddalena (l’esordiente Gracjela Kikaj, albanese ed ex studentessa di belle arti) mira molto in alto, sognando di diventare pittrice. «Naturalmente, uomo del secolo precedente, Antonio non può approvare racconta Pennacchi – Anche lui sarà costretto ad affrontare la Storia attraverso le banali difficoltà e i normali affanni della vita di ogni giorno. Che poi sono quelli che meglio raccontano la gente comune, schiacciata dal tallone della grande Storia».

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