Durante il suo primo question time in Senato, giovedì scorso Giorgia Meloni ha fatto un passaggio non casuale sul «cambio di atteggiamento di alcune organizzazioni sindacali» che «prima avevano una mobilitazione piuttosto contenuta». Tra il 2012 e il 2022, ha detto, «ho registrato circa sei scioperi generali», quindi «in media uno ogni due anni». Adesso, ha aggiunto, «se ne fanno due ogni anno». Una riflessione, quella della premier, dovuta sì al braccio di ferro in corso con i sindacati sugli scioperi, ma che guarda con una certa attenzione anche a un ritorno delle mobilitazioni di piazza come non le si vedeva da qualche tempo. Una circostanza che rischia di saldarsi con la campagna elettorale per le elezioni Europee di giugno (che, di fatto, è già iniziata ed entrerà nel vivo nei primi mesi del 2024), ma pure con una riforma istituzionale che sembra sempre più elemento di divisione tra le forze politiche e che potrebbe diventare un fattore di raccordo tra le diverse anime dell’opposizione. Un primo segnale è arrivato dal congresso di Sinistra italiana a Perugia, con l’appello all’unità delle opposizioni di Nicola Fratoianni. Le risposte non sono state univoche, tra un sostanziale «sì» dei segretari di Pd (Elly Schlein) e +Europa (Riccardo Magi), qualche dubbio del M5s («non dobbiamo fare come la destra che mette insieme un’accozzaglia per vincere», ha detto Giuseppe Conte) e la presa di distanza di Azione («no» a manifestazioni comuni, fa sapere Carlo Calenda).
Eppure, pur con tutte le sfumature del caso, è evidente che il tema di una manifestazione che riesca ad unire le diverse opposizioni è ormai un argomento sul tavolo. Come è lampante che il premierato – riforma di cui si discuterà per i prossimi anni – è certamente il terreno più comune a tutti i partiti che oggi non sostengono il governo. Perché non solo tiene insieme i contrari all’elezione diretta del premier, ma anche chi magari sulla questione non ha pregiudizi ma considera insuperabili alcune criticità del ddl Casellati, come la compressione dei poteri del presidente della Repubblica, il secondo premier (di fatto più forte di quello eletto) e l’eventuale legge elettorale che verrà, se davvero con un premio di maggioranza al 55%. Non è un caso che sul punto si siano alzate pubblicamente alcune voci critiche anche nella maggioranza, mentre sono molti quelli che scelgono di non intervenire nel dibattito ma in privato non nascondo perplessità.
Insomma, la riforma del premierato rischia di diventare l’aggregatore di una ritrovata unità delle opposizioni. E anche in tempi brevi, visto che sul ddl la maggioranza è intenzionata a correre. Il disegno di legge è stato assegnato in commissione Affari costituzionali del Senato questa settimana e l’iter è già iniziato. Da martedì prossimo, poi, via alle audizioni, con una maratona di ben cinque ore. E con le opposizioni (tranne Italia viva) che stanno pensando di presentare una lista comune di esperti da ascoltare, un primo segnale di quanto il tema unisca le diverse sensibilità dei partiti che non sostengono il governo.