Si è concluso con un nulla di fatto l’incontro alla Casa Bianca con i leader del Congresso, convocato da Joe Biden per sbloccare l’impasse che da mesi tiene bloccati i nuovi aiuti militari all’Ucraina. Il braccio di ferro tra l’amministrazione e l’ala dura dei Repubblicani della Camera prosegue: «Servono cambiamenti al confine con Messico e sulla lotta all’immigrazione clandestina, comprendiamo la necessità dei fondi all’Ucraina, ma lo status quo è inaccettabile», ha detto lo speaker repubblicano Mike Johnson dopo il vertice di mercoledì.
A nulla è servito il briefing che il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan e il direttore della National Intelligence Avril Haines hanno fornito ai congressman e ai senatori convocati alla Casa Bianca, sui rischi che l’esercito di Zelensky esaurisca presto le risorse. Johnson, che pure ha ammorbidito rispetto al passato le sue posizioni su Kiev, sa di non poter cedere di fronte alle pressioni di Biden, senza rischiare di essere defenestrato dalla pattuglia trumpiana alla Camera, come accaduto al suo predecessore Kevin McCarthy. Ma, oltre al braccio di ferro sull’immigrazione, c’è dell’altro.
I Repubblicani, ha detto Johnson, vogliono anche risposte sulla strategia della guerra e sulla sua fine e su come vengono impiegati i soldi degli americani. Quest’ultimo argomento caro alla retorica trumpiana. Nel frattempo, i Repubblicani del Senato hanno quasi concluso un accordo bipartisan con la maggioranza democratica per una riforma (troppo soft, secondo i trumpiani) dell’immigrazione e per sbloccare gli oltre 60 miliardi di dollari per l’Ucraina chiesti da Biden. Il compromesso raggiunto tra il leader Gop Mitch McConnell e quello Dem Chuck Schumer, che dovrebbe essere votato in Aula la prossima settimana, non ha però alcuna possibilità di passare anche alla Camera. A poco servirà l’appello lanciato da Biden dopo l’incontro di mercoledì, nel quale ha invitato il Congresso ad agire: «Si mette in pericolo la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, l’alleanza Nato e il resto del mondo libero».
Lo stallo a Washington riflette quello sul campo di battaglia ed è per questo che l’amministrazione, per tamponare la situazione, punta su iniziative come la «Coalizione artiglieria» lanciata di concerto con la Francia di Emmanuel Macron per intensificare le forniture all’esercito ucraino. Del resto, è stata la stessa Casa Bianca a riferire pubblicamente che al momento Kiev ha munizioni sufficienti per «altri due mesi» di guerra, facendo eco all’allarme lanciato dallo stesso Zelensky. A conferma di quanto grave sia la situazione, la notizia che le armi iraniane destinate agli Houthi e sequestrate nel Mar Rosso nei giorni scorsi dai Navy Seal (nell’operazione sono morti due militari Usa) invece di andare distrutte come da prassi, sono state dirottate verso l’Ucraina.
In questo quadro di difficoltà, la Nato mostra i muscoli e lancia in chiave anti Russia «Steadfast Defender 2024», un’esercitazione che vedrà impegnati 90mila militari. «È la più massiccia da decenni», ha detto il comandante supremo alleato per l’Europa, il generale Christopher Cavoli. «Siamo in pace ma ci prepariamo alla guerra», ha spiegato l’ammiraglio Rob Bauer, capo del Comitato militare dell’Alleanza. Poco prima, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov aveva ribadito la linea di Mosca, secondo cui «è l’Occidente che non vuole negoziati sull’Ucraina».