Una lettura superficiale delle vicende mediorientali non può che constatare un’incongruenza di fondo: come è possibile che una potenza sciita come l’Iran, che ha fatto della propria ortodossia religiosa un unicum nella storia, possa affidarsi ad accoliti sunniti quali, ad esempio, i militanti di Hamas? L’Iran, da ben quarantacinque anni, simboleggia un modello non solo nel mondo sciita sparso qui e lì, ma esercita una fortissima attrazione magnetica anche nel mondo sunnita
L’Iran come modello per tutto il mondo islamico
Teheran è riuscita dove gli altri hanno fallito: ovvero realizzare una teocrazia reale e non immaginata, in grado di mettere sotto scacco l’intero sistema internazionale, anche solo menzionando la questione nucleare. Al netto di una fortissima crisi economica e di una popolazione giovanissima soffocata dal regime, la missione di Teheran può dirsi, ormai, quasi riuscita. Ora il regime iraniano non si nasconde più, e riconosce con orgoglio i legami intessuti con Hamas a Gaza, con Hezbollah in Libano e i ribelli Houthi in Yemen: il passaggio dal soft all’hard power è oramai sotto gli occhi di tutti.
Nel frattempo, il mondo sunnita continua ancora ad anelare una svolta simile, inseguendo il mito della replicabilità dell’esempio iraniano, altrove. Dove però Teheran ha fatto centro, hanno fallito gli altri, per via di divergenze ideologiche, animosità settaria e differenti orientamenti strategici (si pensi al caso peculiare del Golfo): non solo, ma la tendenza dei Paesi sunniti ad andare verso sistemi più democratici, attraverso libere elezioni, trasformò il modello iraniano in qualcosa di scomodo.
Era il 2010 quando un opuscolo di poco più quaranta pagine in arabo era stato inviato tramite posta elettronica agli attivisti di Hamas a Gaza e a membri d’elite del gruppo in Cisgiordania. Si intitolava I Fratelli Musulmani e la rivoluzione islamica in Iran: quattordici anni fa quell’opuscolo avrebbe potuto essere scambiato per un consueto strumento di propaganda ai proxy, in realtà rappresentò il tentativo di ammantare la crescente cooperazione tra Hamas e Teheran di un sostrato religioso. Per lungo tempo, infatti, la vicinanza tra i miliziani islamisti e l’Iran è stata bollata come un mero “matrimonio di convenienza”. La tesi contenuta nell’opuscolo, invece, è che i Fratelli Musulmani, con Hamas come ramo palestinese, sarebbero un partner “naturale” dell’Iran, con i quali condividere l’idea di rinascita del Califfato, al di là della frattura ideologica atavica fra sunniti e sciiti. Un tentativo ardito, visto e considerato che in decenni di uscite pubbliche e interviste, la Fratellanza non ha mai citato l’Iran come esempio da emulare.
L'”ideale divino di Stato islamico”: cosa accomunerebbe Hamas e l’Iran
La prefazione dell’opuscolo era stata scritta dal dottor Muhammad al-Hindi, leader della Jihad islamica palestinese a Gaza, tornata alla ribalta in questi mesi. L’autore dell’opuscolo, invece, era il dottor Ahmed Yousef, leader del movimento, che all’epoca dei fatti ricopriva la carica di direttore generale del Ministero degli Esteri a Gaza. Yousef è stato ampiamente riconosciuto come uno dei componenti e delle voci più moderate di Hamas, tanto da essere ospitato in un editoriale del New York Times nel 2007, intitolato What Hamas wants. La sua reputazione di moderato, oltre agli studi e il lavoro negli Stati Uniti, ne hanno fatto negli anni un interlocutore interessante e à la page, tanto da essere accusato di essere “l’ala americana di Hamas”.
Era stato proprio lui nel 2010 a spiegare che la partnership tra Teheran e Hamas sarebbe legata alla comune aspirazione all'”ideale divino di Stato islamico”. Una partnership complessa, messa a repentaglio da salafiti e wahabiti legati ai governi del Golfo, responsabili delle tensioni e delle incomprensioni tra Fratelli musulmani e Repubblica islamica. In tempi non sospetti affermò, dunque, che la collaborazione con l’Iran fosse per Hamas ancora più importante di quella con il mondo saudita.
Andare oltre le differenze tra sciiti e sunniti: la tesi di Ahmed Yousef
Per sostenere la sua tesi, Yousef compiva nell’opuscolo una breve ricognizione storica, sottolineando come Hamas e l’Iran possiedono un passato di cooperazione molto importante oltre che delle convinzioni religiose in comune, se non identiche, un elemento che farebbe tremare tutti i dottori dell’Islam anche solo a pronunciarlo. Il primo punto in comune sarebbe la visione di Hasan al-Banna, fondatore dei Fratelli musulmani, condivisa con l’ayatollah Khomeini. Entrambi vedevano lo Stato islamico non come fine a se stesso ma come mezzo per realizzare il messaggio del Corano. Del resto Khomeini, quando affermò che “L’Islam è politico, o nient’altro“, affermava qualcosa che i sunniti andavano propagandando da tempo. Yousef, inoltre, proponeva di andare ben oltre le differenze rituali fra mondo sciita e mondo sunnita, da lasciare al regno personale di ogni musulmano.
Per farlo iniziava il suo excursus storico a partire dal 1948, non a caso, anno in cui far risalire l’inizio dell’interazione tra Iran e la Fratellanza. Questa unità di intenti si ritroverebbe oggi intatta nelle posizioni simili sulla questione palesinese, rifiutando qualsiasi accordo con Israele. Inoltre, si può annoverare fra questi la contrarietà alla presenza militare americana in Medio Oriente e il sostegno alle cause musulmane ovunque nel mondo. Il tentativo compiuto da uomini come Yousef negli ultimi anni è stato, dunque, quello di riscrivere la storia delle relazioni tra Hamas e Iran (usando e abusando della storia) in modo da rendere l’amicizia tra questi due rami un dovere per tutti i veri credenti, trovando una giustificazione religiosa alle mosse politiche contemporanee.