Pozzolo tace dal pm e copre lo sparatore

Pozzolo tace dal pm e copre lo sparatore

Può, un deputato in carica, chiamato a rispondere di un reato grave, trincerarsi dietro il diritto a non rispondere alle domande dei magistrati? Per Emanuele Pozzolo la risposta è: sì. Consapevole delle implicazioni della sua scelta, l’esponente piemontese di Fratelli d’Italia ha deciso di avvalersi di un diritto che la legge gli riconosce. L’altro ieri, quando è stato convocato dalla Procura di Biella, si è rifiutato di rispondere. Doveva essere l’occasione, lungamente attesa, per raccontare finalmente la sua versione su quanto accaduto la notte di Capodanno nella sede della Pro Loco di Rosazza, durante la festa con il sottosegretario Andrea Delmastro culminata nella pallottola finita a piantarsi nella coscia di un partecipante ai brindisi. Ovvero Luca Campana, genero dell’agente di polizia penitenziaria Pablito Morello, caposcorta di Delmastro.

La pistola, unico dato certo, era quella di Pozzolo. Pozzolo giura da sempre ai giornalisti di non essere stato lui a sparare, di sapere bene chi aveva in mano il revolver, e di volerne fare il nome solo ai magistrati, ovvero al pm Paola Ranieri. Invece, quando il momento è arrivato, Pozzolo quel nome non l’ha fatto. Silenzio assoluto anche sul prima e sul dopo, sull’arrivo (non invitato) alla festa, sulla scelta di presentarsi armato, sui movimenti concitati seguiti al ferimento di Campana. Ne avrebbe avuto di cose da dire. Invece il verbale riporta solo una domanda del pm, «vuole rispondere» e una risposta: «no».

Pozzolo si rende conto che la mossa necessita di qualche giustificazione pubblica. Così ieri il suo difensore Andrea Corsaro, che è anche sindaco di Vercelli in quota Forza Italia, spiega che «la decisione è stata assunta e motivata ai pm in considerazione dell’uscita sui quotidiani del 16 gennaio di ampi stralci di atti di indagine non a disposizione della difesa perché coperti da segreto istruttorio, che risultano invece messi a conoscenza di altri, non abilitati, e ciò con grave pregiudizio per le indagini». È una sorta, come si vede, di contrattacco: il deputato, indagato per lesioni colpose, si sente al centro di un attacco concentrico fatto anche di fughe di notizie. E, d’intesa col suo difensore, decide di ribellarsi: queste violazioni del segreto istruttorio non mi permettono di difendermi efficacemente. Parlerà con i magistrati alla fine dell’indagine, quando tutti gli atti saranno depositati: quelli che lo accusano e quelli, come le perizie tecniche, da cui si augura di venire scagionato.

A scatenare le ire di Pozzolo è stata la pubblicazione sulla Stampa di martedì di alcuni stralci delle deposizioni rese nelle prime ore di Capodanno ai carabinieri da lui stesso, dal ferito Campana e dal caposcorta Morello. La frase chiave, nel verbale dell’imputato, è questa: «La pistola mi è scivolata dalla tasca del giubbotto, qualcuno l’ha raccolta e ha armato il cane». Campana dice che la pistola l’aveva Pozzolo, «non sembrava esperto nell’usarla». Morello dice di avere sentito il genero dopo lo sparo dire, rivolto al deputato, «mi hai sparato». È la prima volta, va detto, che dopo due settimane di indagini trapelano atti ufficiali, e non solo ricostruzioni più o meno precise. Nel verbale di Pozzolo la frase più importante è quel «ha armato il cane», che descrive la mossa di un esperto di armi. E nel gruppetto intorno, oltre a Pozzolo l’unico col porto d’armi era Morello. Ma prima di confermare l’accusa, il deputato vuole avere chiaro davanti il quadro delle prove e delle perizie. A costo di apparire all’esterno come il politico «che si avvale».

Leave a comment

Your email address will not be published.