Mar Rosso bloccato ai raid e Canale di Panama a secco: ecco cosa si rischia

Mar Rosso bloccato ai raid e Canale di Panama a secco: ecco cosa si rischia

C’è un sottile filo rosso che collega due grandi opere di ingegneria del XIX secolo come il canale di Panama e quello di Suez: Ferdinand de Lesseps, il “grande francese” già ideatore del “taglio” dell’istmo di Suez che permise la navigazione diretta dal Mediterraneo all’Oceano Indiano, fu lo stesso uomo che caldeggiò la realizzazione del canale di Panama, ma che vide fallire il suo progetto per collegare l’Atlantico al Pacifico.

L’istmo di Suez e il canale di Panama

Oggi entrambi questi passaggi sono definiti dal linguaggio della geopolitica choke points, colli di bottiglia, in cui si concentra il traffico marittimo mondiale, ma anche punti “caldi” teatro delle principali crisi geopolitiche contemporanee. Quanto questi passaggi siano fondamentali nella nostra quotidianità, al di là dei grandi equilibri internazionali, è stato lapalissiano nel marzo 2021 quando la nave cargo Ever Given – e i suoi 18mila container a bordo – restò incagliata ostruendo il passaggio di qualsiasi altra nave da Suez. Un blocco di circa una settimana che costrinse numerose imbarcazioni alla vetusta circumnavigazione dell’Africa che, con i suoi tempi dilatati e i costi maggiorati, provocò un brusco rallentamento dell’economia mondiale.

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Oggi dal canale di Suez transita il 12% del commercio globale e il 9% dei prodotti legati al petrolio. Per evitare quest’area ormai a rischio, numerose compagnie stanno prediligendo il Capo di Buona Speranza, scegliendo la rotta che va da Singapore al nord Europa, che tuttavia richiede 10 giorni di navigazione ulteriore e quasi un milione di dollari di carburante in più. Dal canale di Panama, invece, passa il 5% del commercio mondiale che contiene al suo interno il 40% del traffico container statunitense.

La crisi nel Mar Rosso: il canale di Suez a rischio

Quanto Suez sia fondamentale per il commercio internazionale, lo stiamo riscoprendo in occasione dell’attuale crisi del Mar Rosso. Qui i continui attacchi dei ribelli yemeniti Houthi rischiano di mettere in ginocchio l’economia mondiale. A rischio non c’è solo il contenuto in sè delle imbarcazioni, ma l’intero sistema della navigazione mercantile mondiale. Un numero crescente di assicuratori, ad esempio, si rifiuta di coprire navi americane, britanniche e israeliane contro i rischi della guerra. L’esitazione degli assicuratori arriva dopo che i funzionari statunitensi hanno avvertito le navi mercantili americane di tenersi alla larga dall’area fino a nuovo ordine. Sebbene non tutti gli assicuratori stiano imponendo restrizioni, il mercato assicurativo si sta chiaramente irrigidendo e i tassi potrebbero continuare a salire. Per dare una dimensione del disastro in corso, il costo per assicurare una nave portacontainer da 100 milioni di dollari è aumentato dai 10.000 dollari per viaggio agli attuali 700.000 dollari.

Intanto, l’Autorità del Canale di Suez (Sca) ha annunciato un aumento del 15% delle tasse di transito su alcune navi cisterna, comprese quelle che trasportano petrolio greggio e prodotti petroliferi. L’incremento era previsto dallo scorso ottobre, secondo quanto riferito da una dichiarazione della stessa autorità, e arriva in un momento in cui i rischi per la navigazione sono aumentati a causa degli attacchi Houthi nel Mar Rosso. Secondo il presidente della Sca, Osama Rabie, tra il primo e l’11 gennaio il traffico attraverso il Canale di Suez è diminuito del 30% rispetto all’anno precedente.

Il canale di Panama a secco

Mutatis mutandis, le cose dall’altra parte del Mondo non vanno meglio. Sebbene faccia meno rumore, anche il canale di Panama sta vivendo una sua crisi. Per mesi la siccità indotta dalla combinazione fra El Niño e i cambiamenti climatici ha portato il livello dell’acqua al minimo storico, costringendo le autorità di gestione a ridurre il numero di navi che da qui passano da un Oceano all’altro. Con un corollario di costi in aumento e ritardi nelle catene commerciali che mettono a repentaglio l’affidabilità di questa singolare via d’acqua. Una crisi che si aggrava ancora di più per via di uno scherzo del destino: la concomitante crisi di Suez. Questo porta numerosi esperti del settore a preconizzare la “morte” del canale in favore di via alternative che, da tempo, iniziano ad essere vagliate. Il canale, del resto, non era stato progettato per resistere a siccità prolungate e gravi, essendo legato a un sistema di laghi artificiali che dipendono dalle precipitazioni. Ma qui, oramai, le piogge sono ormai ben lontane dal fornire al canale quei 52milioni di galloni di acqua dolce necessari per il saliscendi delle imbarcazioni.

La crisi del canale, inoltre, cela dietro di sè anche una potenziale catastrofe di una piccola nazione come Panama che dal canale ricava il 6,6% del suo PIL, mentre la situazione attuale potrebbe costare all’economia panamense 200milioni di dollari. Ma la siccità e la conseguente crisi idrica che sta attanagliando il lago Gatun, stanno colpendo gravemente anche la popolazione panamense: dal lago deriva, infatti, la metà dell’approvvigionamento idrico potabile di Panama. Il transito di una singola nave, invece, impiega la quantità di acqua che mezzo milione di panamensi consuma in un giorno. Se negli ultimi mesi il transito è stato ridotto da 36 a 24 navi al giorno, dal prossimo mese il numero scenderà a 18, di fronte alle previsioni che minacciano il 38% in meno di precipitazioni rispetto alla media. Ulteriori restrizioni sono state introdotte in fatto di transito e di pescaggio, costringendo le navi a ridurre il proprio carico anche del 40%. Tutto questo sta frustrando profondamente le compagnie di navigazione, che iniziano a dubitare dell’affidabilità di questa via d’acqua.

Quali alternative?

Nel caso del canale di Panama, il meccanismo è quello di un circolo vizioso. Una delle vie da sempre alternative al canale era appunto Suez, sebbene richiedesse costi differenti. Restano, fra le opzioni valide, il Capo di Buona Speranza-oggetto del traffico in fuga da Suez- e lo stretto di Magellano. La caduta in disgrazia di quest’opera faraonica, allo stesso tempo, sta alimentando un vivace dibattito in America latina per la costruzione di vie alternative. Fra queste il progetto nicaraguense di un canale interocenanico che vede la fiera opposizione del popolo nicaraguense; sembra invece essere più che un progetto, il piano della Colombia per la costruzione di una linea ferroviaria di 123 miglia in grado di mettere in collegamento Caraibi e Oceano Pacifico. Qualcosa di molto simile sta vedendo la luce nel martoriato Messico (un progetto ferroviario interoceanico) e in Paraguay, che ha inaugurato nel 2022 un corridoio autostradale interoceanico.

Sebbene siano progetti promettenti, tra i quali più di qualcuno meramente aleatorio, appare molto difficile che in un futuro prossimo queste alternative possano sostituire due giganti come Suez e Panama. Se il mitico passaggio a nord-ovest è ancora in lenta crescita (sebbene il traffico sia raddoppiato nel giro di sei anni, dal 2013 e il 2019), della crisi climatica, e del conseguente scioglimento dei ghiacci, si è avvantaggiata la Russia. Nel 2017 Mosca ha inaugurato la rotta transpolare per raggiungere l’Europa del nord e la Cina, accendendo la contesa dell’Artico. La Northern Sea Route, infatti, è più breve del 43% delle rotte attorno al Capo di Buona Speranza e del 25% rispetto a quelle passano da Suez. Ma farebbe risparmiare quasi 5000mila miglia nautiche anche rispetto al Canale di Panama. Tuttavia, il tempo di “navigazione libera” in queste acque-ovvero senza scorta di rompighiaccio-è molto limitato, il che la renderebbe ancora una rotta antieconomica.

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