Il primo dato interessante è che la commemorazione di Acca Larentia non è mai stata denunciata in 45 anni: esiste dal 1979 e non è pervenuta neanche una segnalazione della Digos alla Procura, in pratica hanno atteso l’insediamento di Giorgia Meloni, ma con comodo: nel gennaio 2023 il governo era già in carica e, pure, nessuno contestò la manifestazione.
Il saluto romano. Il secondo dato, scontato solo per chiè informato, è che i fatti di Acca Larentia non c’entrano con l’annunciata sentenza della Cassazione (a sezioni riunite) che oggi dovrebbe disciplinare l’eventuale reato connesso al saluto romano: il ricorso riguarda una commemorazione milanese del 2016 che vide otto militanti di CasaPound assolti in primo grado e condannati in Appello, ma contestando loro due reati diversi, ossia la più classica Legge Scelba del 1952, che vieta ogni apologia del Fascismo (n.
645, art. 5) o la più recente Legge Mancino del 1993, che punisce «motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi» legati a qualsivoglia manifestazione.
Il saluto federalista. Interessante anche una sorta di federalismo commemorativo o interpretativo riguardante il saluto romano: nel Sud e Centro Italia non risultano esserci mai state contestazioni (e non sappiamo quante commemorazioni) mentre a Roma, oltre ad Acca Larentia, ce ne sono altre sulla morte dei militanti Alberto Giaquinto (dal 1980) e Francesco Cecchin (stesso anno) ma senza segnalazioni o indagini o processi. A Nord ci sono cerimonie a Lodi, Pavia, Como e Vicenza ma nel Nordest la questione si complica, perché il saluto romano c’è (o non c’è) anche in manifestazioni legate alla tragedia delle Foibe. In particolare a Milano, va detto, non si tratta di manifestazioni in crescita bensì il contrario anche per numero di partecipanti, che dal 1976 al 2014 tendevano a inquadrarsi in percorsi di marcia (con fiaccole, tamburi e coreografie oggi eliminate) mentre oggi le questure hanno imposto una dinamica più «stanziale»: le tappe in più luoghi commemorativi devono essere raggiunte alla spicciolata, in ordine sparso.
Il saluto milanese. Ci si concentra su Milano non solo perché la sentenza odierna della Cassazione riguarderà due processi meneghini del 2016, ma perché è la città che ne ha celebrati la maggioranza, oltre a essere un riferimento della guerra civile con Piazzale Loreto, i partigiani, l’assassinio del militante Sergio Ramelli e, nondimeno, sede dell’architettura fascista di Palazzo di Giustizia che pure ospita, nell’aula della Quinta sezione penale (sopra la scritta «La legge è uguale per tutti») un dipinto di Primo Conti raffigurante Mussolini, al centro assieme ad altri, con tanto di elmetto; alla fine della Liberazione il duce era stato oscurato con una pennellata di arancione, ma l’affresco fu restaurato nel 2008 dal ministero dei Beni culturali. È l’unico caso italiano a svettare in un’aula di giustizia, e degno di nota è pure che le uniche polemiche riguardarono il periodo mussoliniano: l’affresco di Conti fu accusato di essere troppo poco fascista.
Milano, 2013. Prima del 2013 ogni reato è prescritto. Non si faranno nomi (troppi) tranne, ora, quelli di tre onnipresenze: il pm Pietro Basilone (oggi a Sondrio) e gli avvocati Luca Procaccini e Mario Giancaspro. I fatti contestati sono sempre gli stessi: le manifestazioni commemorative, ogni 29 aprile, per i «camerati» Ramelli – Pedenovi Borsani durante le quali un soggetto di norma chiama il «presente» e gli astanti rispondono col saluto romano.
Il 29 aprile 2013 un gruppo di ragazzi ha uno striscione inneggiante i caduti, bandiere con croci celtiche, corone commemorative e fa il saluto romano. Il 19 novembre 2015, in primo grado e contestando la Legge Scelba, 2 ragazzi e 2 ragazze (altri non vengono identificati) sono condannati a 1 mese di reclusione e 250 euro di multa, più 16mila per la parte civile che sarà sempre quella: l’Associazione partigiani italiani che batte cassa. In ogni caso la Corte D’Appello, il 13 settembre di quel 2018, sentenzia che il fatto non sussiste perché manca un «concreto pericolo di ricostituzione del Partito fascista».
Milano, 2014. Stessa commemorazione, stesso giorno: imputati 4 ragazzi e una ragazza. Tra le parti civili, oltre ai Partigiani, c’è anche il ministero dell’Interno pro tempore. La sentenza è del 10 giugno 2015, ma non si è andati neppure a processo: è un «non luogo a procedere» che riconosce «l’assoluta inoffensività del fatto». Il giudice – leggendo pare divertirsi in scorribande nel fascismo storico, nella simbologia classica romana e nella citazione del film «Cabiria» di Gabriele D’annunzio del 1914.
Epilogo: «Soltanto qualora la manifestazione assuma caratteri tali da porre in pericolo la tenuta dell’ordine democratico viene meno il diritto alla libera manifestazione del pensiero».
Milano, 2015. Per motivi ignoti, le manifestazioni di quell’anno non pongono il problema della ricostituzione del Partito fascista.
Milano, 2016. Le commemorazioni sono sempre quelle, non le citeremo più. Otto militanti di CasaPound vengono denunciati per violazione della legge Mancino, eccola. In primo grado, il 23 dicembre 2020, ci si richiama al precedente «non luogo a procedere» e di assolvono tutti gli imputati perché il fatto non costituisce reato. Nel processo d’Appello, però, si ribalta la sentenza e ciascuno è viceversa condannato a due mesi e duecento euro di multa: è l’oggetto del ricorso che la Cassazione a sezioni riunite dovrebbe esaminare oggi.
Milano, 2017. Per motivi ignoti, le manifestazioni di quell’anno non pongono il problema della ricostituzione del Partito fascista.
Milano, 2018. I processi sconfinano quasi nel nonsenso. Nel solito giorno c’è un soggetto, L.C.
, che nella solita manifestazione (autorizzata) orchestra il saluto romano di duemila persone in via Paladini, ex abitazione di Sergio Ramelli: condannato in primo grado a 4 mesi assieme ad altri 13 ragazzi, si attende l’Appello. Lo stesso L.C, nello stesso giorno, si sposta poi in Piazzale Loreto con un drappello ridotto e inscena una manifestazione (non autorizzata) all’angolo con viale Abruzzi, nel punto in cui c’era il famoso distributore di benzina a cui furono appesi Mussolini e Claretta Petacci: per questa vicenda, all’apparenza più «grave», viene processato solo L.C. (gli altri non sono identificati) per la violazione della Legge Scelba e anche della Mancino: ma l’imputato viene assolto perché il fatto non sussiste (13 luglio 2022) e la procura, la Terza penale, non fa neppure Appello.
Scelba o Mancino?
L’orientamento della Suprema Corte ha spesso prediletto la Legge Scelba per punire o no eventuali «manifestazioni fasciste» e annessi saluti romani, sempre nel rispetto dell’articolo 21 della Costituzione sulla libera manifestazione del pensiero: il difetto ideologico della Scelba, per farla breve, è che rende difficile condannare reati che non lo sono, perché limita il margine di discrezionalità del giudice: associare dei saluti romani a un «concreto» pericolo di ricostituzione del Partito fascista pare invero difficile. La Legge Mancino, invece, è molto più generica perché «valoriale» e dunque orientata a tutto ciò che secondo un giudice sia portatore di «motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi»: il saluto romano quindi può diventare tipico di chi persegua finalità discriminatorie, e chiusa lì, altro non serve: dimenticando però che la visione estensiva potrebbe coinvolgere ogni finalità giudicabile come discriminatoria; inneggiare ad Hamas o ad altre organizzazioni musulmane potrebbe riportare alle discriminazioni etniche, razziali o religiose verso ebrei od occidentali; una semplice maglietta con Che Guevara ricondurrebbe agli ebrei perseguitati da Cuba e fuggiti negli Usa; ogni accenno al comunismo reale sarebbe associabile agli ebrei rinchiusi nei gulag. Forse non si sarebbe salvato neppure il funerale di Prospero Gallinari (nel 2013, a Coviolo, vicino a Reggio Emilia) e annessi pugni chiusi a opera di un migliaio di persone che inneggiavano alle Brigate Rosse: contro lo Stato, il nostro.