«Quella stella mi sopravviverà. E sorveglierà dal marciapiede terreno di Los Angeles anche il mio viaggio nell’aldilà. Fa un po’ impressione come gratifica universale ma è così». Willem Dafoe, fresco mito del mondo del cinema nell’eterna Walk of fame, commenta il prestigioso riconoscimento che lo consacra nel museo a cielo aperto degli astri della Settima Arte. «È stata una cerimonia commovente con parole bellissime come quelle pronunciate da Pedro Pascal e Patricia Arquette ma a colpirmi è il pensiero sulla longevità di questo premio». E in tema di successi conclamati, il film Povere creature! di Yorgos Lanthimos – in sala dal 25 gennaio – in cui Dafoe interpreta un eccentrico dottor Godwin Baxter che ricostruisce una donna nuova da una suicida, ha già raccolto due Golden Globe, solitamente un’anticamera degli Oscar da assegnare l’11 marzo, oltre al Leone d’oro già conquistato a Venezia.
Già nel nome del suo personaggio sta una delle chiavi della carriera e dell’esistenza di questo attore. God come Dio. E il pensiero non può che andare al Gesù dell’Ultima tentazione di Cristo di Scorsese. Eppure oggi il suo ruolo assomiglia a Frankenstein, a suo modo anche lui un creatore. «Sono due personaggi verso i quali nutro estrema simpatia ma, guardando il film del regista greco, il dottor Baxter richiama il celebre progenitore di tanti horror. Eppure c’è una profonda differenza. Mentre Frankenstein provò repulsione per la sua creatura, Baxter se ne innamora anche se per lei rimarrà sempre soltanto una sorta di padre».
Già, i genitori. Dafoe è nato da una coppia di medici. Uno dei suoi sette fratelli e suo padre sono stimati chirurghi e lui, fin da ragazzo, faceva il custode nella clinica diretta da papà. Tra bisturi e sale operatorie ci ha sguazzato per anni e l’ambiente non gli fa paura. «Essere vissuto con tanti dottori non mi ha aiutato molto a calarmi nella parte di Baxter. Insomma non era necessario aver avuto a che fare con tanti camici bianchi nella vita. Diciamo piuttosto che le malattie e gli ospedali mi fanno sentire a casa e in famiglia. Sembra cinismo ma è così».
Un po’ come Baxter, alchimista di creature che rinascono dalle loro stesse ceneri. Lo è Bella, la donna riplasmata dalla giovane suicida che impara essa stessa a rimanipolare chi l’aveva fatta soffrire, come il disgustoso marito, all’ombra del quale si sentiva sempre sotto scacco, fino a intuirne la pericolosità e il minaccioso potere che aveva su di lei. «Emma Stone è stata fantastica, noi tutti eravamo un completamento del suo ruolo. Ormai è diventata la musa di Lanthimos, un uomo riservato e timido che tuttavia non risparmia battute fulminanti. In questo film ha creato un mondo e il compito del cast di attori era di entrarvi dentro e riprodurre il suo sentire».
Regista e interpreti come compagni di un viaggio iniziato 44 anni fa con I cancelli del cielo di Michael Cimino che assegnò a Dafoe una piccola parte poi tagliata in sala di montaggio, motivo per cui l’allora venticinquenne Willem non fu poi accreditato nel cast.
Da lì una collezione di cineasti, a dir poco singolari. Da Oliver Stone che gli regalò la notorietà con l’Elias di Platoon al citato Scorsese. Da Lars von Trier di Nymphomaniac a William Friedkin di Vivere e morire a Los Angeles. Da Anthony Minghella a Wes Anderson passando per Paul Schrader. E l’elenco potrebbe continuare. «Un bravo regista è fondamentale per come io concepisco il lavoro. Personalmente do il meglio di me stesso lavorando in una squadra in cui regna la fiducia e stare insieme diventa un reciproco scambio di apporti che aiutano a far emergere qualcosa di nuovo o un personaggio mai esistito. Questo, per me, è recitare».
Un percorso che trova nel trucco uno strumento importante. «Necessario, oserei dire. È una parte di me stesso che svanisce per lasciar apparire qualcuno che non c’era. L’anima della finzione». Quella che il cinema incarna. Le piattaforme a Dafoe non piacciono «e non è una questione di schermi grandi o piccoli. Trovo che la condivisione di uno spettacolo con persone sconosciute sia impagabile perché aiuta a uscire dal nostro guscio». E liberarci.
In fondo la vita è una sfida continua e Dafoe non sa che cosa ancora lo aspetti. «Sono stato Gesù, Van Gogh e ora quasi un mostro. Ho interpretato personaggi diversissimi e non saprei immaginare quale potrebbe essere il prossimo». Il calendario delle uscite cinematografiche fissa però al 14 febbraio Finalmente l’alba di Saverio Costanzo, presentato anch’esso all’ultima Mostra veneziana. Lì impersonerà un gallerista italo-americano in un caleidoscopio di comparse che a Cinecittà stanno girando un peplum sull’antico Egitto, proprio la notte prima dell’omicidio di Wilma Montesi, avvenuto nel 1953, che sconvolse la città eterna e l’Italia.
«Di Roma non vorrei parlare. Sono mezzo italiano e vivo qui da moltissimi anni. Ogni luogo del mondo ha pregi e difetti. Essere qui è un privilegio. E tanto basta». Questione di correttezza e onestà. Tasto dolente come il femminismo, impronta di Povere creature!. «L’uomo è oppressivo e in quelle figure deteriori qualcuno si riconoscerà. Come potrebbe salvarsi il maschio, oggi in crisi, non saprei. Io fatico a salvare me stesso».