Stefano Barilli, il 23enne trovato con il corpo decapitato nel fiume Po a Caselle Landi (Lodi) il 17 aprile del 2021, è morto suicida. Il gip di Piacenza, Aldo Tiberti, ha accolto la richiesta di archiviazione del fascicolo per istigazione o aiuto al suicidio formulata dalla procuratrice Grazia Pedrella. Non la pensano così i familiari del ragazzo che ritengono inverosimile l’ipotesi di un gesto estremo, senza l’intervento di terzi, sollevando alcuni interrogativi sulla drammatica vicenda.
Le corde acquistate su internet
Stefano si allontanò dalla casa di Piacenza, in cui viveva assieme alla madre e la sorella minore, l’8 febbraio del 2017. Fu ritrovato cadavere due mesi dopo, il 17 aprile. La testa non venne trovata. Secondo la procura, la terribile mutilazione può essere spiegata con l’aggressione da parte di roditori e della fauna ittica. Per l’avvocato Ilaria Sottotetti, legale di Natascia Sbriscia, la madre del 23enne, la decapitazione è avvenuta invece con l’impiego delle corde in nylon che il ragazzo acquistò su internet durante un viaggio in Svizzera. Sta di fatto che se al momento del suicidio Stefano fosse stato solo, ipotizza il legale nella richiesta di opposizione all’archiviazione del caso, le funi sarebbero rimaste penzoloni da qualche parte. Ma così non è stato. Da qui il dubbio: qualcuno le ha rimosse? E perché, nell’ipotesi in cui il giovane sia annegato nel Po e poi aggredito dagli animali, non risultano mutilazioni in altre parti del corpo? Inoltre gli abiti che indossava sono rimasti intonsi. Come è possibile che non siano stati erosi dall’acqua?
I dubbi sul giorno del decesso
Come riporta Il Giorno, secondo il consulente medico legale della difesa Stefano non sarebbe morto l’8 febbraio, quando è sparito, ma il giorno del ritrovamento. La dipendente di un bar all’interno di una stazione di servizio vicino Piacenza sostiene di aver visto il ragazzo attorno alle 17.30 del 9 febbraio. Quindi era ancora vivo il pomeriggio dopo la scomparsa? E ancora, come ha raggiunto Caselle Landi se l’unico mezzo di cui disponeva era l’automobile della madre? La vettura è rimasta al suo posto.
La telefonata
Infine c’è l’inquietante mistero di una telefonata. Il 22 marzo 202 un’amica di Stefano riceve una chiamata da un’utenza Svizzera, dove il ragazzo si era trasferito per qualche tempo, prima del tragico epilogo. La comunicazione rimane aperta per un minuto: si sente solo un respiro. Secondo la procura di Piacenza il 23enne si sarebbe tolto la vita dopo aver visto naufragare il sogno di avviare una startup per mancanza di finiziamenti. Nella sua camera è stato ritrovato un biglietto indirizzato ai familiari: “So che non capirete il mio gesto“.