Sventurata la città che ha bisogno di eroi. Sventurata Roma giallorossa, che vive nel calcio questa incapacità di essere normale. La parabola di Mourinho, nel suo finale malinconico, ricorda quella di Francesco Totti, sentimento contro ragione, l’incapacità di una piazza accecata dall’amore di accettare il principio di realtà. È vero, la Roma è nona in serie A, sfrattata dalla Coppa Italia dalla Lazio, in bilico in Europa League. Soprattutto il gioco degli ultimi mesi è stato tra più scadenti mai visti all’Olimpico, l’agonia più che l’agonismo di una squadra sempre sull’orlo di una crisi di nervi, che vive dei guizzi dei suoi pochi campioni, quando ne hanno voglia, quando non sono in infermeria. Ma tutto questo per i tifosi più viscerali non importa, l’Olimpico è sempre pieno, Mourinho il Ciceruacchio che ha interpretato furbescamente ma quasi credibilmente quel perenne vittimismo della più grande città provinciale del mondo, il rumore del nemico sempre nelle orecchie. La Roma giallorossa è avvezza alle sconfitte, se le pettina accuratamente, ci si affeziona, poi ogni tanto arriva una Tirana per i cortei e le notti bianche, quindi si torna al vorrei ma non posso, o al potrei ma non voglio. Mou a Roma è stato un perdente di lusso, che non potendo fare altro si è esaltato in un perenne melodramma passivo-aggressivo. Ora, mentre la metà più irrazionale della tifoseria è in lutto (e l’altra pregusta un profilo più basso), lui parcheggia la Vespa bianca e torna a progettare vittorie che non avranno mai quel sapore impareggiabile che ha il perdere a Roma.