In questi Emmy arrivati con grande ritardo, a causa del lungo braccio di ferro che ha contrapposto gli studios agli attori e agli sceneggiatori di Hollywood, bisogna registrare il successo di una miniserie Beef – Lo scontro che ha portato a casa (come potete leggere nell’articolo di questa pagina) praticamente tutti i premi possibili: Miglior miniserie, Miglior attore protagonista (Steven Yeun), Miglior attrice protagonista (Ali Wong), Miglior sceneggiatura, Miglior regia. Un risultato davvero interessante perché Beef – Lo scontro è una delle serie meno politicamente corrette degli ultimi anni. In questa serie al centro c’è la rabbia, quella più micragnosa e feroce, quella che sobbolle e poi esplode in tutti noi difronte alle micro angherie cui il sistema ci sottopone. Tutti i giorni. E poi ci sono le code, gli scontrini che servono per il reso ma abbiamo perso, le liti per il parcheggio, il portafoglio sempre vuoto, persino il successo che non fa altro che moltiplicare le sfide. Tutto questo, portato ad un surreale esito di violenza. La trama è tutta mirata a portare a galla l’odio che nasce dalla frustrazione figlia del nostro «progresso scorsoio» (per citare un epigramma di Andrea Zanzotto). C’è Danny che fa parte della classe operaia. Tenta di reinventarsi come appaltatore senza avere qualifiche di sorta. Deve lottare con le recensioni dei clienti, un fratello pigro e una famiglia in Corea del Sud finita in miseria dopo aver perso la gestione di un motel. Ogni cosa che tocca invece che trasformarsi in oro si disintegra. Amy Lau pare, invece, avere un destino ben diverso. È un’imprenditrice che si è fatta da sé, in procinto di vendere la propria attività ad una ricca magnate. La donna che si finge zen però è stressata da tutto, a partire dalla propria famiglia. La pressione cresce mentre la suocera la giudica con sarcasmo e il marito la guarda con occhi sfuggenti. L’incontro rabbioso dei due protagonisti, nel parcheggio di un centro commerciale, fa da detonatore ad una spirale di rabbia, mirabile nell’indagare l’animo umano. In questa sciarada di furia ambientata a Los Angeles Steven Yeun ha calzato perfettamente i panni dell’uomo rancoroso che non trova più un senso all’essere maschio. Lo stesso vale per Ali Wong, formidabile nei panni di Amy Lau: il successo è vuoto e privo di piacere. Quando si esce dalla retorica delle serie create per fornire una lezioncina sociale può scapparci un prodotto convincente. Per pubblico e critica. Roba umana che non ha niente a che fare con i bilancini sociali e le intelligenze artificiali tanto temute da attori e sceneggiatori.