Navigli, stupro di gruppo con filmato: prima condanna

Navigli, stupro di gruppo con filmato: prima condanna

Quella sera di marzo in un locale sui Navigli la sua vita è cambiata, forse per sempre. Aveva bevuto tantissimo: di 36 «shottini» lei ne aveva trangugiati tre, a cui aveva aggiunto alcuni cocktail e delle birre. I tre uomini che erano in sua compagnia l’avevano poi portata, totalmente ubriaca, nelle cantine del locale. Avevano abbassato la serranda, perché nessuno vedesse cosa stava accadendo e avevano avuti tutti un rapporto sessuale con lei. Rapporti a cui la donna, una manager di 31 anni, proprio perché così fortemente alterata dall’alcol, non avrebbe potuto prestare il «consenso», secondo la gup Sofia Fioretta che ha condannato uno dei tre imputati per violenza sessuale di gruppo. Si tratta di un 23enne originario di Padova che lavora a Milano e che è stato condannato ieri a 3 anni e sette mesi di carcere con la formula del rito abbreviato. La pm Alessia Menegazzo, titolare del fascicolo, aveva chiesto una condanna a 4 anni. Gli altri due 27enni che hanno scelto di procedere con rito ordinario, i due titolari del bar sul Naviglio Pavese, sono stati rinviati a giudizio e andranno a processo il 9 aprile.

La tesi della procura – secondo la quale non può esservi consenso a un rapporto sessuale se si è in stato di alterazione psicofisica da sostanze – è stata totalmente riconosciute dalla gup, per la quale la ragazza stava così male a causa dell’alcol che è «fuori discussione» che avesse potuto dire sì al rapporto.

E questo varrebbe in ogni caso come principio generale: anche se in un primo momento la donna avesse avuto un atteggiamento «seduttivo, provocante o disinibito» che poteva indurre gli imputati a pensare che lei volesse avere un rapporto sessuale a tre. E anche se avesse deciso, in autonomia, di perdere il controllo di se stessa bevendo fino a stare male.

Del fatto che la manager fosse molto ubriaca e che stava molto male a causa dell’alcol, il giovane che è stato condannato ieri ne aveva parlato anche al telefono con una amica di lei e la chat è stata acquisita agli atti del processo. Il 23enne è stato assolto invece dalla gup dalle accuse di avere utilizzato la carta di credito della ragazza (il giorno dopo la manager ha trovato una transazione che non ricordava da 48 euro, altri 5 euro in contanti le sono stati sfilati dal portafoglio), e di revenge porn per avere diffuso il video della violenza su whatsapp.

«Come sto? Sono distrutta, in un modo che potete solo lontanamente immaginare», erano state le uniche parole, al telefono, a Il Giornale della manager 31enne che lavora in una impresa nell’hinterland di Milano, ma è originaria di un’altra città fuori regione. Per lei la giudice ha stabilito un risarcimento provvisionale da 10mila euro.

La giovane donna si è svegliata la mattina del 17 marzo con i ricordi confusi, i vestiti della sera prima ancora addosso, un forte dolore alle parti intime. Si è rivolta così al centro antiviolenza della Mangiagalli e ha denunciato. Ma di questo oggi non parla più. «Lasciatemi stare, non posso dire nulla» si limita a commentare. In questi sette mesi ha già risposto a molte domande, prima dei carabinieri, poi della pm Alessia Menegazzo che ha condotto l’inchiesta con l’aggiunto Letizia Mannella. La sua versione è stata ricostruita e confermata nel dettaglio, nell’informativa dei carabinieri della compagnia Monforte e del nucleo investigativo guidato dal colonnello Antonio Coppola.

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