Autonomia, primo sì. Pd in piazza

Ecco tutti i piddini che volevano l'autonomia differenziata

A pochi minuti dall’approdo nell’aula del Senato della riforma Calderoli, la maggioranza trova la quadra sulla autonomia regionale differenziata. In un rapido vertice viene dato via libera all’emendamento di Fdi che assicura le stesse risorse delle Regioni che chiederanno devoluzioni di competenze a quelle che non le chiederanno. È la «clausola di salvaguardia» chiesta dai meloniani per evitare «disparità di trattamento», che sblocca l’iter della riforma che dovrebbe vedere il primo sì parlamentare la prossima settimana.

Intanto le opposizioni imbracciano la causa del «Sud tradito» o – come ripetono in tanti – della «secessione dei ricchi» contro i poveri meridionali per contrastare la legge. Elly Schlein e Giuseppe Conte vanno in piazza contro il «patto scellerato» e l’iniquo «scambio tra premierato e autonomia». A chi le ricorda che l’Emilia di Bonaccini fu tra le prime regioni a chiedere la devoluzione di competenze replica che lei Bonaccini lo ha sconfitto, «e oggi tutto il Pd contrasta compattamente questa riforma». Solo Carlo Calenda, dal centrosinistra, liquida lo scontro come «grottesco fight club senza attinenza con la realtà», perché «l’autonomia, necessaria per il federalismo fiscale previsto dal Pnrr, non ci sarà finché non saranno finanziati i Lep».

In aula vengono discusse e poi bocciate (90 a 71) le pregiudiziali di costituzionalità contro la legge. Il dem Dario Parrini denuncia la «ferita mortale» che si rischia di infliggere a «settori fondamentali» lasciandoli alle singole regioni, ognuna come le pare: «Trasporti, energia, persino istruzione, con le conseguenze che avrebbe una scuola “regionalizzata” sull’identità collettiva nazionale». Una «follia barocca», incalza da Italia viva Enrico Borghi: «Si tratta di materie, come abbiamo visto chiaramente nelle ultime crisi energetiche, non più gestibili dagli Stati.

Figuriamoci cosa succederebbe se venissero affidate al Molise o alla Liguria». Ma il capogruppo renziano mette anche il dito nella piaga delle contraddizioni a sinistra: «Invece alimentare la diatriba tra Lega nord e Lega sud, perché, se avete cambiato idea sulle autonomie, non vi siete impegnati a modificare l’articolo 116?». Ossia quello che le prevede, introdotto in Costituzione proprio dal centrosinistra nel 2001. E confermato, come ricorda il relatore leghista Paolo Tosato, «dal popolo italiano nell’unico referendum costituzionale approvato».

È il tasto stonato su cui la maggioranza batte e ribatte, per far emergere le contraddizioni di una sinistra che all’epoca varò quella riforma «a fine legislatura, con soli 4 voti di scarto», ricorda il meloniano Alberto Balboni, «per portare dalla vostra parte la Lega» contro Berlusconi. «Difficile sostenere che sia incostituzionale una legge che si limita ad attuare la vostra riforma», insiste la leghista Erica Stefani. E Balboni infierisce: «Se cambiare idea è segno di intelligenza, voi del Pd avete un quoziente intellettivo altissimo, visto che non fate altro». Tanto più, ripetono in molti, che fu il governo Gentiloni ad avviare l’interlocuzione con diverse regioni sulla devolution.

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