Il rebus ora va risolto dal Capitano, al tavolo con gli altri due leader della coalizione. Il nodo più urgente da sciogliere resta la Sardegna, una delle due regioni governate dalla Lega, la prima che andrà al voto a fine febbraio. Le liste vanno chiuse entro lunedì 22, c’è ancora qualche giorno per trattare. Il partito di Salvini non ha comunicato alcuna decisione, la linea ufficiale resta sempre quella, riconfermare i governatori. Ma fuori dalle dichiarazioni la disponibilità a dialogare e, a certe condizioni, anche a cedere, c’è. «Non faremo barricate per la Sardegna» dicono i leghisti, l’unità del centrodestra è un obiettivo primario. E Fdi ha fatto capire chiaramente che la Sardegna deve andare a loro.
Certo c’è malumore per le imposizioni che arrivano dai meloniani. È vero che i sondaggi accreditano un divario di circa 20 punti percentuali tra i due partiti. Ma la Meloni usa le maniere forti, «si sente la mancanza di Berlusconi, lui garantiva rappresentanza anche a chi aveva meno voti» dicono i leghisti ricordando il peso che veniva riconosciuto alla Lega quando valeva un terzo del partito di Berlusconi. Per non spaccare l’alleanza però la Lega è disponibile a sacrificare Solinas. Ma ci dev’essere una contropartita, dentro il perimetro delle regionali, o fuori. Nel primo caso una compensazione (anche se i leghisti non piace questo termine) sarebbe la riconferma della leghista Donatella Tesei in Umbria. A quel punto la Lega avrebbe solo un candidato, e quindi – e il ragionamento pragmatico dei leghisti – lo stesso sacrificio andrà chiesto agli altri, cioè a Forza Italia, che rinuncerebbe alla Basilicata. L’altra contropartita che interessa i leghisti è il terzo mandato dei governatori, che significa poi lo Zaia 3 in Veneto l’anno prossimo. Fdi e Fi non sono favorevoli, ma si registrano segnali di apertura. Anche questo finirà nel saldo finale tra incassi e perdite della trattativa.
Sul fronte Europee, invece, prosegue la corte leghista a Vannacci, che sta valutando l’offerta di candidatura. Il generale, secondo Salvini, è la carta che può trascinare la Lega fino alla doppia cifra. «Con Vannacci c’è un feeling, c’è una compatibilità di visione politica. Per lui, le porte del partito sono aperte, perché la pensa come noi» spiega il vicesegretario leghista Andrea Crippa. Nel partito non c’è un entusiasmo uniforme per l’ipotesi Vannacci, un esterno che porterebbe via un seggio ai leghisti, uscenti compresi, con i posti che potrebbero essere molti meno rispetto al 2019, anno del boom salviniano. L’ala moderata del partito teme uno scivolamento a destra, i governatori – soprattutto Zaia e Fedriga – sono annoverati tra gli scettici dell’operazione, Giorgetti altrettanto. Nessuna dichiarazione pubblica però, la linea del segretario non si discute. Il lombardo Attilio Fontana infatti la definisce «una scelta che credo possa essere sicuramente importante, perché Vannacci è una persona che sta cercando di combattere per vincere il pensiero unico». A Salvini servono dei nomi forti, specie se la Meloni correrà da capolista per Fdi. Secondo l’istituto «Noto Sondaggi» la candidatura di Meloni regalerebbe fino a quattro punti a Fdi a scapito degli alleati, in particolare la Lega che perderebbe un punto e mezzo.