Odio chiama odio. Del resto nessuno si aspettava un epilogo diverso (o più elegante). A tre giorni dalla morte della ristoratrice Giovanna Pedretti, Selvaggia Lucarelli non si smentisce e, mentre la magistratura ipotizza l’istigazione al suicidio, lei che fa? Prova a fare la vittima, pubblicando su Instagram i messaggi di insulti che ha ricevuto. Ovviamente sceglie i più feroci: «La pagherai pesantemente», «Ti sgozzo come un maiale».
Annunciando di cancellarsi da X per una sorta di momentaneo detox, scrive che «nessuno ha il coraggio di fare una riflessione sul ruolo della stampa in questa vicenda e domandarsi perchè una notizia irrilevante e pure falsa era in home page comunque». «Volevo rasserenare il direttore di Repubblica, Salvini etc..- aggiunge – Naturalmente io sono navigata e mi prendo tutto, spero lo sia altrettanto pure l’altra persona. Ovviamente nel caso dovesse succedere qualcosa (non a me, ripeto, io sono forte) diamo la colpa ai social, non ai giornali. Mi raccomando».
Regola numero uno della shit storm in atto: avere sempre l’ultima parola. Regola numero due: sviare e dare sempre la colpa ad altri, meglio se sono giornalisti, così si va sul sicuro. «I giornalisti che in queste ore paragonano il debunking, che spiega perché una notizia è falsa, al giornalismo modello Iene che fa imboscate a chi rifiuta interviste, insegue, bracca, aspetta sotto casa o al lavoro, monta le immagini dei silenzi e delle fughe, musichette suggestive e faccioni degli inviati in servizi tv in prima serata, beh, come disse qualcuno, ‘o sono cretini o sono dei farabutti in malafede’». E va bene, ci mancava il capitolo dell’influencer che dà lezioni di giornalismo.
Il metodo Lucarelli sta crollando come un castello di carte, senza nemmeno bisogno del peso di un panettone sopra. La politica insorge, facendosi paladina di quello di cui tutti – chi più chi meno – sappiamo già da tempo: e cioè che il far west degli influencer veicola contenuti talmente incontrollati e (spesso) biechi che finirà con lo schiantarsi. Eccolo, forse, lo schianto.
«Quello che dovevo dire l’ho scritto, preferisco non commentare ulteriormente» chiude la polemica la Lucarelli a nome suo e del compagno, il food blogger Lorenzo Biagiarelli, il primo a sollevare dubbi sull’autenticità del commento omofobo contro il ristorante di Giovanna Pedretti e a provocare una serie di insulti social e reazioni a catena che hanno portato al suicidio della donna.
Dopo le critiche del ministro Matteo Salvini, ne piovono di nuove: «Credo occorra davvero una rivolta civile contro questi giustizieri social da quattro soldi e le loro cosiddette ‘inchieste’, sempre così bravi e implacabili a scagliare la prima pietra sulle vite degli altri, sempre col ditino alzato a bacchettare questo o quello e a spaccare il capello (sempre degli altri) in quattro. Che schifo. Che vergogna. Che immane disastro umano e culturale» insorge Alessia Ambrosi, deputata Fdi.
Dal fronte Pd, Pierfrancesco Majorino invita a starne fuori, vista la gravità di quanto accaduto e il dolore della famiglia di Giovanna Pedretti. Ma non può esimersi da un commento: «Bisognerebbe ragionare di più sulla gestione del meccanismo dei social e sul senso di responsabilità di tutti». «Si parla spesso a sproposito di umanità, empatia, tutele: dove sono finiti questi concetti, valgono solo a giorni alterni, mentre per altri va bene la gogna mediatica? È necessario aprire una profonda riflessione su chi ha trattato il caso come se fosse il Watergate, a partire dal Tg3 e dai Lucarelli, frequentatori della tv di Stato» commenta la leghista Susanna Ceccardi.