Le élite progressiste vogliono la scuola pubblica, egualitaria, che dia sostegno a tutti, che non lasci indietro nessuno, che invece di alzare l’asticella verso l’alto tenda la mano verso il basso, penalizzando l’eccellenza dei singoli a favore della tutela del gruppo. Tanto, poi, loro vanno alle scuole private.
Quella dei politici di destra, ma chissà perché soprattutto di sinistra che predicano il pubblico frequentando il privato è una storia già vista. Vizi privati, pubblici déjà vu.
In Francia ieri è scoppiato il caso della neo ministra dell’Istruzione, Amélie Oudéa-Castéra. La carica e il partito da cui proviene (il macroniano «En Marche!», che all’inizio si era ammantato dei più alti ideali progressisti in tema di integrazione e lotta alle disparità) suggeriscono che dovrebbe essere lei prima paladina della scuola pubblica. In realtà, in visita a una scuola media dell’hinterland parigino, ha confessato di aver iscritto i tre figli in un istituto privato di élite. «Nel pubblico ci sono troppe ore di assenza degli insegnanti, io e mio marito eravamo stufi», ha detto. Sindacati e opposizioni hanno già chiesto le sue dimissioni.
Del resto da noi Rutelli portò la figlia in un istituto cattolico. Nanni Moretti iscrisse il figlio in un’esclusiva scuola anglo-americana. La Melandri scelse per i figli il «San Giuseppe». E Bertinotti andava a prendere i nipoti in un istituto (chic) privato…
Per una volta i nostri politici non devono prendere lezioni dai francesi. Semmai possiamo dargli ripetizioni.