Il 2025 molto probabilmente non sarà l’anno della definitiva riforma delle pensioni, ma probabilmente potrebbe rappresentare l’inizio di un percorso con la manovra che sarà varata il prossimo autunno. Il principio guida sarà il medesimo che ha caratterizzato l’ultima legge di Bilancio: solo chi resta al lavoro fino al raggiungimento dell’età pensionabile di vecchiaia (attualmente 67 anni) godrà l’assegno senza penalizzazioni. Chi vorrà anticipare l’uscita dovrà accettare il ricalcolo interamente contributivo del trattamento pensionistico. «Faremo una riforma delle pensioni per un decennio, incentivando a restare al lavoro nei settori in cui c’è bisogno. E favorendo l’uscita con 41 anni di contributi negli altri», così il sottosegretario all’Economia Claudio Durigon in una intervista sui lavori in corso nel cantiere previdenziale. L’obiettivo è varare una riforma «sostenibile per i conti e per il mercato del lavoro, flessibile e duratura» e, anticipa Durigon, «faremo Quota 41, il cavallo di battaglia della Lega».
L’abolizione della legge Fornero «rimane il nostro obiettivo politico», aggiunge Durigon, ma «per cancellarla servirebbero enormi risorse». Tuttavia, «con il peso via via minore delle pensioni retributive, anche quella legge morirà». La spesa pensionistica quest’anno è stimata al 16% del Pil a quota 340 miliardi di euro. Nel prossimo biennio l’incidenza sul prodotto interno lordo rimarrà invariata ma – a legislazione vigente – in valore assoluto toccherà i 350 miliardi nel 2025 e i 360 miliardi l’anno successivo.
Anticipare i pensionamenti senza incidere sugli importi significa dare il via libera a uscite correnti (successivamente recuperate al conseguimento della pensione di vecchiaia) che peggiorerebbero lo stato dei conti pubblici nel momento in cui l’unica certezza è l’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea.
Ecco perché, conclude Durigon, «iI tema dell’aspettativa di vita va valutato con attenzione»: la manovra 2024 ha confermato i 67 anni come età per il pensionamento di vecchiaia anche per il prossimo bienni, poi si vedrà ma «nei settori, come la sanità, in cui c’è carenza di manodopera dobbiamo incentivare le persone a restare». È anche seguendo questa filosofia che a novembre si è raggiunto il record di occupati a 23,74 milioni. E, considerato, che in alcuni casi i posti vacanti risultano non coperti per mancanza di competenze, allungare la vita lavorativa degli italiani è fondamentale non solo dal punto di vista della tenuta dei conti pubblici.
Ovviamente, il fatto di aver ribadito questi semplici principi ha scatenato le ire della sinistra. «Le promesse elettorali erano un inganno», ha tuonato ieri Emiliano Fossi, deputato Pd in commissione Lavoro. «Hanno peggiorato la legge Fornero», ha dichiarato Angelo Bonelli (Alleanza Verdi-Sinistra). Secondo Barbara Guidolin (M5s), «la linea del governo è fine lavoro mai».
Essere opposizione significa non avere responsabilità di governo anche se Pd e M5s erano maggioranza nella passata legislatura. I grillini, infatti, hanno varato con la Lega «Quota 100» il cui costo alla scadenza del 2026 (ci si poteva pensionare a 62 anni con 38 anni di contribuzione fino a fine 2021) è stato stimato da Inps e Upb in 23 miliardi di euro. Viste le esperienze passate, scegliere la strada del realismo garantendo una pensione giusta a chi resta al lavoro è l’unica strada percorribile. Anche se troppi in Parlamento fingono di ignorarlo.