“Reputazioni devastate dalle crociate d’odio. E le persone normali sono le più vulnerabili”

"Reputazioni devastate dalle crociate d'odio. E le persone normali sono le più vulnerabili"

«Abbiamo zelanti persecutori che portano avanti delle crociate sul web per dei casi limite. Ma questi signori devono considerare che possono colpire delle persone normali, che sono le più vulnerabili, e far loro molto male. Quindi lasciamo perdere le crociate…». Milena Santerini, docente di Pedagogia generale all’Università Cattolica di Milano, non fa sconti agli influencer che vomitano odio via web, dopo che la signora Giovanna si è suicidata, probabilmente perché non ha retto all’urto delle accuse.

Professoressa l’odio può provocare gesti estremi?

«Sicuramente, ma nel caso di Giovanna non facciamo delle congetture».

Però tutto lascia supporre a una sua reazione esasperata.

«Nel caso fosse veramente così, siamo di fronte a una voce collettiva violenta, un’ondata di odio veramente pericolosa».

Perché si è scatenata?

«Giovanna aveva toccato un tema sensibile: omosessualità e disabilità, due temi che scatenano le reazioni di tutti coloro che sono ostili alle fragilità in cui inserirei anche gli anziani. Sono fasce sociali che infastidiscono e turbano coloro che hanno in testa un certo tipo di normalità che non contempla fragili e diversi».

Ma il web ha fatto da cassa di risonanza.

«Tutto questo sarebbe potuto accadere anche nella vita reale. Ma Il mezzo del web non è ininfluente, le piattaforme favoriscono questi fenomeni distruttivi».

Internet è un cattivo maestro?

«Non è buono né cattivo, sono le grandi piattaforme da Instagram a Meta, da X a YouTube ad aver bisogno di emotività che induce la gente a cliccare di più, anche in modo compulsivo. Il loro intento si basa sull’adesione di più gente possibile, che clicca, clicca e riclicca. Insomma, l’emotività porta a postare di più».

Che genere di emotività?

«Magari fosse ammirazione o gioia. Invece dilaga soprattutto l’indignazione e la rabbia. E questo perché c’è anonimato che fa da schermo, perché non vedi la vittima. Inoltre c’è l’aspetto della rapidità: in un momento di emotività scrivi e poi magari ti penti, ma il danno è fatto».

Dunque chi posta cattiverie è spesso codardo?

«Nella vita reale si fa più fatica a insultare una persona, non si ha il coraggio e se si prova un certo fastidio per la debolezza non ci si esprime chiaramente».

Perché questo odio collettivo può portare a farla finita con la vita?

«Un gesto estremo nasconde uno sconforto rispetto al futuro. Si pensa ormai la mia reputazione è rovinata. Oppure nasconde la vergogna».

Come difendersi?

«Bisogna capire che sono gli altri a sbagliare. Anche se hai fatto un errore è solo chi odia ad avere sempre torto. Bisogna avere la forza di farsi aiutare e prendere le distanze da questi attacchi non soccombendo o facendosi sottomettere».

E gli odiatori, come li cambiamo?

«Bisogna educare. Da subito e tutti insieme abbiamo da imparare: bambini, giovani, adulti. Bisogna insegnare autocontrollo, competenze emotive, riconoscere la propria rabbia e gestirla, imparare ad avere empatia da chi è diverso da se stesso».

Cosa cambiare nelle piattaforme?

«Sul web bisognerebbe evitare le crociate di certi influencer che possono avere conseguenze imprevedibili sulle persone coinvolte. E bisogna spingere le piattaforme a rimuovere i post di odio. Non lo fanno abbastanza. X ha riaperto completamente i confini al discorso d’odio. E Meta rimuove solo il 15% dei discorsi gravemente antisemiti segnalati».

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