“Olindo e Rosa leghisti”, l’ultima bufala

"Olindo e Rosa leghisti", l'ultima bufala

«Olindo e Rosa sono leghisti», scrive il giornalista della Stampa Pierangelo Sapegno su Facebook. Eccola, l’ultima suggestione. Come se la revisione del processo per la Strage di Erba che li vede condannati sia un favore della magistratura alla Lega, a Matteo Salvini e alla maggioranza. «Non voglio farne un discorso politico, dio me ne guardi, ma questo è davvero un momento così», scrive in un commento, blaterando di antifascismo e di Costituzione destinata a cambiare.

Ora, Sapegno non è l’ultimo arrivato. Il quotidiano torinese gli ha affidato una pagina sull’inchiesta che lui dice di aver seguito «fin dall’inizio». Peccato che anche lui inciampi nella solita propaganda. Come per il riconoscimento di Mario Frigerio, il supertestimone che ha inchiodato Olindo e Rosa con la sua deposizione. Oggi l’opinione pubblica lo dà per scontato ma è stato Il Giornale a scrivere per primo, undici mesi dopo i fatti, che Frigerio aveva identificato come aggressore «una persona mai vista prima, di carnagione olivastra, forte come un toro, di etnia araba, da ricercare nelle persone che frequentavano l’appartamento della strage». Un documento pubblico, che però i sedicenti conoscitori dell’inchiesta avevano bellamente ignorato fino ad allora e per molto tempo ancora, fermandosi alle veline degli inquirenti e alla illogica spiegazione che la sua memoria è «migliorata». Solo così si spiega il riconoscimento tardivo del bianco e noto vicino di casa, arrivato dopo molti incontri con i carabinieri – di cui è sparita ogni intercettazione ambientale – e soprattutto dopo un colloquio con il maresciallo dei carabinieri Luciano Gallorini che gli fa nove volte il nome di Olindo.

L’altro giorno il Corriere della Sera scrive che sarebbe stata trovata un’impronta digitale di Olindo nel contatore di casa Castagna, l’appartamento dove si è consumata la strage. Circostanza inedita, smentita da un verbale dell’8 gennaio 2007 in cui c’è scritto che «la ricerca di impronte» su quel contatore ha dato esito negativo».

Ora che anche Azouz Marzouk reclama la loro innocenza, perché inventare fatti nuovi o pubblicare fake news, nascondersi dietro le sentenze e dietro le toghe? Sarebbe più onesto, per i lettori, che certi giornaloni ammettano che la decisione della Corte d’Appello di Brescia – di pari dignità giuridica rispetto alla condanna della Cassazione – è un precedente che rischia di riscrivere la storia giudiziaria di questo Paese smemorato.

Già. La memoria fa brutti scherzi, a volte. L’altra sera il generale Luciano Garofano, che da comandante dei Ris di Parma fece le indagini per conto della Procura di Como, senza trovare una macchia di sangue una che dimostrasse la presenza dei coniugi nell’appartamento o tracce delle vittime a casa di Olindo e Rosa, è rimasto vittima di un vuoto di memoria. A Retequattro, a una domanda del direttore di Gente Umberto Brindani, Garofano ha negato che nell’appartamento i suoi uomini abbiano repertato Dna estraneo a vittime, soccorritori e presunti assassini. «Tracce biologiche che appartenessero ad altri? A memoria, no». Eppure, proprio nel rapporto dei Ris che di fatto scagiona Olindo e Rosa, arrivato all’udienza preliminare dopo che i due si erano proclamati innocenti e avevano chiesto il rito ordinario, al reperto 2D c’è «un contatto dattiloscopico palmare, nella parete al piano terra di fronte alle scale», che sotto la voce «identità» recita: «Nessuna». Succede. Come dimostrano i periti della difesa nel caso di Frigerio, che tu sia un supertestimone o un generale dei Ris, la memoria col tempo può solo peggiorare.

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