Hezbollah attacca da Nord. “Biden stufo di Netanyahu”

Hezbollah attacca da Nord. "Biden stufo di Netanyahu"

Cento giorni di guerra e cento giorni di passione. Cento giorni di numeri dell’orrore, di attesa e di minacce. Di rischi e di speranze. Israele segna sul calendario i 100 giorni trascorsi dal feroce attacco del 7 ottobre per mano di Hamas – 1200 israeliani trucidati, in gran parte civili – e rivive in una sola giornata, la quindicesima domenica dall’inizio del conflitto, le angosce e le sfide di oltre tre mesi di guerra, un confronto militare ed esistenziale che ogni giorno minaccia di estendersi all’intera regione. Ancor più dopo le azioni degli alleati di Hamas, quei nemici di Israele come Hezbollah e Houthi, in azione dal Libano e nel Mar Rosso, foraggiati dall’Iran. In segno di solidarietà per la tragedia che si consuma sulla pelle di circa 130 ostaggi ancora in mano ai gruppi islamisti nella Striscia di Gaza, ieri oltre 150 aziende israeliane hanno scioperato per cento minuti. Un modo per tenere alta l’attenzione sui rapiti, per cui ogni giorno potrebbe essere l’ultimo. «Di molti non sappiamo nulla e molto probabilmente sono stati uccisi dalle bombe israeliane», dicono le Brigate Al Qassam, soffiando sul fuoco della rabbia in Israele. «Gli altri sono in pericolo e il nemico è responsabile del loro destino», annuncia in un video il portavoce del gruppo, braccio armato di Hamas. I familiari degli ostaggi e alcuni dei rilasciati accusano lo Stato di Israele: «Ci ha abbandonati». Chiedono disperati un accordo mediato con i terroristi, che ancora non arriva. Ricevono in cambio solidarietà, ma nessuna intesa. «I nostri cuori sono nelle mani dei terroristi nazisti da 100 giorni. Cento giorni di crudeltà. Non avremo pace finché non saranno tutti liberi», ha commentato il ministro degli Esteri, Israel Katz.

Intanto il sangue continua a scorrere. Non solo a Gaza, dove Israele annuncia di aver ucciso 9mila terroristi, mentre le vittime per l’offensiva israeliana, secondo fonti palestinesi, sfiorerebbero quota 24mila e i soldati israeliani uccisi sono 188. In Israele si muore ancora per mano degli alleati sciiti di Hamas, gli Hezbollah che dal sud del Libano non smettono di lanciare razzi sul nord del Paese (almeno duemila dall’inizio della guerra, che si sommano ai 9mila lanciati dalla Striscia da Hamas). Un missile anti-carro ha colpito un’abitazione e ucciso ieri madre e figlio, 70 e 40 anni. In giornata sono stati 8 gli attacchi dei miliziani dal Libano, 5 i soldati dell’Idf feriti. Dopo le due vittime, i jet d’Israele hanno colpito un centro di comando del gruppo. Ma Hezbollah non intende retrocedere. In un discorso tv per commemorare l’uccisione del leader militare Wissam Tawil, ucciso in un attacco nel sud del Libano la scorsa settimana, il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, annuncia: «Siamo sempre pronti alla guerra. Sono gli israeliani che hanno paura». Sugli Stati Uniti attacca: «Stanno espandendo la guerra, anche se chiedono di evitare un’escalation». E a proposito dei raid contro gli Houthi dello Yemen, che colpiscono le navi nel Mar Rosso: «Sono un’idiozia americana. Come si può pensare che gli yemeniti cessino di colpire le navi israeliane o legate a Israele?» chiede Nasrallah, mentre si rincorrono voci su nuovi raid anglo-americani in Yemen, smentiti dal Pentagono. Il leader di Hezbollah fa pure riferimento alle conseguenze degli attacchi: «Ciò che accade nel Mar Rosso è un duro colpo per il nemico, la cui economia è ferma da 100 giorni».

A fare i conti della guerra sono per primi gli israeliani. Il premier Netanyahu ricorda che il conflitto durerà mesi e la Banca d’Israele stima che costerà 50 miliardi. Egitto e Cina chiedono un cessate il fuoco. Ma al momento, all’orizzonte, c’è il rischio di un’estensione del conflitto. E sul piatto, secondo la testata Axios, la crescente frustrazione della Casa Bianca nei confronti di Netanyahu e delle sue orecchie da mercante alle richieste su Gaza.

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