Le prime avvisaglie dell’interferenza dell’intelligenza artificiale sull’occupazione si stanno facendo strada. Google e Amazon hanno deciso un calo degli occupati e, per ora, lo motivano con una ristrutturazione del business che impone un taglio della forza lavoro. Negli Usa la ricollocazione nel mondo del lavoro non solo è agile e rapida, ma da sempre rappresenta un modo per evolvere la professionalità, piuttosto che un appagamento di nuove occasioni o esperienze. Ben diversa è la situazione da noi, dove ricollocarsi è sempre stato difficile, anche a causa della limitata formazione e di una istruzione scolastica inadatta a seguire le evoluzioni del sistema economico.
Non a caso, quasi per incanto, improvvisamente le imprese hanno rincorso i lavoratori, offrendo loro un impiego, quasi sempre con contratti a tempo illimitato; a determinare la svolta è stata la carenza di manodopera davvero preparata.
A beneficiare di questa rincorsa è stata essenzialmente la fascia tra 35 e 45 anni, la cui vita lavorativa era forte di esperienze acquisite che ne consentivano un immediato inserimento. Molte meno sono state le assunzioni degli under 35, seppur diplomati o laureati, essendo costoro quasi sempre dotati di formazioni generiche e senza esperienza dei metri utilizzati nei modelli industriali attuali. L’accelerato arrivo dell’intelligenza artificiale rischia di escludere dall’offerta di lavoro proprio le fasce che, negli intenti, cioè i giovani under 30, avrebbero dovuto rappresentare il ricambio generazionale. Ma, disponendo di una istruzione generalista, non sono in grado di competere con il robot dotato di intelligenza artificiale. Stessa sorte avversa potrebbe toccare ai molti milioni di occupati generici che sono la base produttiva e di servizi del nostro sistema.
Ritenere l’intelligenza artificiale un nemico dell’occupazione è un errore grave. Il problema è tuttavia quello di limitarne l’introduzione in ogni campo e settore. Perché in alcune specifiche aree – quali per esempio la ricerca scientifica, piuttosto che nelle attività amministrative e contabili – gli effetti positivi saranno di grande importanza per la salute e il sapere scientifico o ancora per migliorare i processi contabili. Diverso ancora è aprire ogni attività, sia produttiva sia di servizi, all’intelligenza artificiale.
Il Cnel, giustamente chiamato in causa dal governo per esprimere un valutazione sul salario minimo, dovrebbe riessere attribuito del ruolo, magari affiancato dai centri studi delle principali associazioni datoriali e sindacali.
In modo da definire una scena prospettica sulle reali esigenze dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale e sugli effetti che può avere sull’occupazione. E su come le imprese ne debbano prevedere un posizionamento governato dal capitale umano, a sua volta idoneamente preparato, in modo da rendere la tecnologia un utile miglioratore dell’efficientamento produttivo. Non in sostituzione del uomo, ma in sua integrazione. Essenziale che il sistema imprenditoriale sia coinvolto nella regolamentazione dell’utilizzo intelligenza artificiale, così da dare attuazione a indirizzi che riguardano la vita e il futuro delle imprese e quindi della stessa sorte del nostro sistema economico.