Ilva strategica per l’Italia, ecco perché

Arcelor pretende troppo. Ilva verso il commissario

Ci sono innumerevoli motivi per tenere in vita l’ex Ilva di Taranto. E se non bastassero i 10.700 lavoratori diretti (circa 20mila considerando anche l’indotto), le tante motivazioni economiche ed industriali sono quelle che stanno obbligando intorno a un tavolo – con lo scopo di trovare un accordo consensuale – i due soci di Acciaierie d’Italia (Invitalia e Arcelor Mittal), da tempo separati.

I potenziali costi sociali sono i più immediati e chiari. Ma a questi vanno aggiunti quelli economici e macroeconomici.

L’Italia non può fare a meno dell’acciaio di Taranto. «Non solo perché si creerebbe improvvisamente sul mercato un buco da 1,5 milioni di tonnellate di acciaio, che è la quota già venduta nel 2024 con contratti indicizzati a clienti storici, ma soprattutto perché il mercato perderebbe un prodotto di alto profilo qualitativo», spiega una fonte aziendale a il Giornale. Un aspetto che mette in luce l’importanza assoluta di continuare a produrre attraverso gli altiforni. «L’ex Ilva – spiega ancora la fonte – deve continuare a produrre acciaio da minerale e non da rottame (come fa la concorrenza) perchè solo così può continuare ad essere quel fiore all’occhiello a cui tutti guardano con interesse: a Novi ad esempio la ricottura in continua garantisce un prodotto unico». E ancora: «L’ex Ilva è stata sempre appetibile perché produceva un acciaio di alta qualità e prodotti piani molto ricercati. Spegnere gli altiforni o rottamarli con i forni elettrici significa far morire l’acciaio italiano che ha fatto la storia del mercato siderurgico».

Oltre alle ragioni industriali esiste poi tutta una rete di clienti che senza Ilva andrebbe in forte sofferenza. Quelli siderurgici sono prevalentemente il gruppo Marcegaglia, ma anche tutti i grandi centri di servizio del Nord Italia: Eusider, Sangoi, Lamiere San Polo.

L’acciaio Ilva serve inoltre quasi tutti i settori dell’industria, dalle auto al consumer. «Il nostro database ha oltre 1.000 clienti», spiega la fonte citando ad esempio «Ariston, Stellantis, Seat, Elettrolux, Whirlpool ma anche Fincantieri e il gruppo Lampre». Clienti non solo italiani se consideriamo che l’acciaio di Ilva va anche molto a gruppi che operano in Germania e in Spagna.

Questi clienti, se non arrivasse più l’acciaio prodotto da Ilva, si troverebbero dinanzi notevoli problemi per reperire un prodotto sostitutivo e all’altezza. Senzacontare che dovrebbero reimpostare i processi produttivi: basti pensare che molti prodotti sono omologati con l’acciaio Ilva.

Esiste poi tutto il capitolo dei creditori che perderebbero valanghe di denaro senza Ilva: i creditori di Stato, da Snam a cui Ilva deve 300 milioni per le bollette del gas insolute, a Trenitalia che, secondo alcune fonti, potrebbe avere una esposizione prossima a 10 milioni. Tutto l’indotto conta poi robusti crediti che l’amministrazione straordinaria potrebbe mandare in fumo. «La messa in amministrazione straordinaria dell’ex Ilva, che stiamo cercando con tutte le forze di scongiurare, si tradurrebbe in un nuovo bidone di 120 milioni di euro a carico delle aziende dell’indotto, le quali danno lavoro a circa 4mila persone», sottolinea Aigi, l’associazione che riunisce le imprese dell’indotto di Acciaierie d’Italia.

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