Morì per fuggire a stupro. Perizia choc: “Colpa sua”

A 20 anni, la sera del 3 agosto 2011, morì cadendo dal sesto piano di un hotel a Palma di Maiorca per sfuggire ad uno stupro. Ma per gli avvocati di Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi – i due ragazzi condannati in via definitiva per la tentata violenza – Martina Rossi precipitò «anche per colpa sua».

I legali dei trentenni – ancora in carcere a scontare in regime di semilibertà i tre anni confermati dalla Cassazione – si appellano al cosiddetto «concorso del danneggiato». In sostanza, si ipotizza un grado di corresponsabilità di Martina nel tragico volo costatale la vita perché – secondo gli avvocati Tiberio Baroni e Stefano Buricchi – la studentessa potrebbe essere stata imprudente nello sfuggire allo stupro scavalcando la ringhiera della stanza 603 per cercare di raggiungere in precario equilibrio il balcone della camera a fianco. A tutto ciò i due avvocati aggiungono anche una potenziale colpa da parte dell’hotel: la ringhiera, scrivono nelle loro memorie, era troppo bassa, non a norma. Lo scenario è delineato nella richiesta di una seconda perizia sulla caduta presentata nel processo civile (il caso penale è chiuso) in cui i genitori della ragazza chiedono un risarcimento di un milione ad Albertoni e Vanneschi.

È in vacanza con due amiche, Martina, quell’agosto di 13 anni fa. Durante il soggiorno le ragazze conoscono dei giovani aretini. Quella sera la studentessa è con un’amica, che però nel frattempo si allontana con altri ragazzi. Lei rimane improvvisamente sola con Albertoni e Vanneschi. Terrorizzata perché capisce che i due volevano violentarla, prova a fuggire scavalcando il balcone per arrivare alla ringhiera di quello adiacente. Non ci riesce e precipita nel vuoto. Viene trovata davanti alla hall agonizzante, senza calzini né pantaloncini. Non si conoscono i dettagli di quei momenti, ma sin dall’inizio i pm italiani sono contrari alla versione della polizia spagnola, che aveva archiviato tutto come un suicidio. La difesa si batte per l’assoluzione ipotizzando che Martina si sia tolta la vita per una forma di depressione che l’aveva colpita anni prima. Nel 2020 la Corte d’appello di Firenze assolve i due ragazzi, ma i genitori della studentessa non si arrendono. La Cassazione annulla la sentenza e ordina un nuovo processo d’appello: vengono valutati nuovi indizi, come il video ripreso nella questura genovese in cui gli imputati esultano perché l’autopsia sul corpo della ragazza non aveva trovato segni di violenza.

Nel 2021 i due vengono condannati a tre anni per il tentato stupro, ma la seconda accusa contestata – ovvero la morte come conseguenza di altro reato – cade in prescrizione tra il primo grado e l’appello. Per questo – sostengono ora gli avvocati difensori – non c’è un «giudicato» penale che impedisca al giudice civile di riconoscere un concorso di imprudenza da parte di Martina. Una posizione che ha fatto saltare dalla sedia i genitori della vittima. Il padre Bruno Rossi, protagonista insieme alla moglie Franca Murialdo di una battaglia legale che va avanti da 13 anni, l’ha definita «aberrante». E ha reagito senza mezzi termini: «Albertoni e Vanneschi si comportano come se non fosse successo niente e continuano a mentire. Ci sono responsabilità oggettive che provano a introdurre, come se invece non ci fossero stati 11 anni di sentenze e mia figlia non fosse stata ammazzata da questi due».

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