Nel sondaggio tra gli esperti della gastronomia che ci ha accompagnato nei primi giorni del 2024 della Retrogusto, mi avevano colpito i tanti endorsement per un ristorante fiorentino di cui avevo sentito parlare per la prima volta a novembre, a Brescia, alla presentazione della nuova edizione della guida Michelin, quando gli era stata assegnata la prima stella (e anche quella verde destinata ai locali che prestano grande attenzione alla sostenibilità). Mi avevano colpito il nome esotico dello chef, Ariel Hagen, di cui avevo banalmente ed erroneamente immaginato origini nordiche (no. È fiorentino come il lampredotto) e gli applausi entusiastici sopra la media di quelli riservati agli altri neostellati.
Ecco invece quello che avevo trovato in risposta alle mie domande sul migliore pasto dell’anno appena trascorso. “Punterei sul giovane Ariel Hagen (Saporium), uno che si è fatto le ossa alla corte di un talent scout come Gaetano Trovato: al primo anno “ai comandi” ha preso una stella e due stelle verdi”, ha scritto Marco Gemelli del Forchettiere, uno che la città medicea la conosce a menadito. “Una fine d’anno sorprendente con un ottimo abbinamento vini”, ha scritto la giornalista Isabella Redaelli.
Incuriosito sono andato a verificare (dura, la vita del giornalista gastronomico). Scoprendo che: 1) Ariel Hagen ha una presenza fisica davvero rimarchevole: domina il bancone a vista in cui dà gli ultimi tocchi ai piatti prima di farli servire, si fa sentire, ha personalità, ci mette la faccia in ogni momento della cena. Circostanza inconsueta; 2) la sua cucina è assai più spessa di quanto avessi immaginato. Avevo favoleggiato un approccio ieratico, quasi spirituale, nel solco di certa sottigliezza di erba e di radice e mi sono trovato invece davanti piatti saporosi, masticabili, piacevolmente tradizionali anche se con un tocco di tradimento. Roba forte, buona, cotta e pensata; 3) lo sguardo felice, talora quasi commosso dei camerieri che portano i piatti o del bravo maitre Riccardo testimonia dell’affiatamento e della convinzione con cui ogni membro della squadra condivide il progetto; 4) il ragazzo si farà, le spalle non sono strette e poi è sveglio assai e per me entro qualche anno entrerà nella Champions League della cucina, e quindi tanto vale imparare a pronunciarlo bene, il suo nome, Arièl con l’accento sulla “e” e Hagen che si senta bene l’”h”. Nome ebraico, peraltro, perché questo è Ariel e quindi le grammatiche da cui attinge sono ancora più ampie.
Saporium rappresenta il salotto cittadino di un progetto che ha il suo cuore un centinaio di chilometri più in là, in Borgo Santo Pietro, tra il Senese e la Maremma dove Ariel ha un ristorante assediato da una tenuta di tredici ettari coltivata secondo i dettami dell’agricoltura biodinamica e dove ci sono allevamenti, vigneti, campi di noci, un caseificio artigianale, arnie di api, e insomma dove si produce quasi tutti i prodotti che riempiono la dispensa dei due ristoranti, quello di campagna e quello cittadino. Ariel guida una squadra che non comprende, come in tutti i ristoranti, solo i membri della brigata di cucina e quelli della sala, ma anche un casaro, una panettiera, giardinieri, l’esperta di fermentazione, il macellaio, il forager. Chi può vantare altrettanto in Italia? Per cui lui sì può orgogliosamente dire: “Dalla terra al piatto”. No perditempo.
Hagen ha anche inventato la quinta stagione, “quella che non c’è”. Termine con cui lui intende il fatto che è inutile aspettarsi che, con i cambiamenti climatici in essere, lo scandire del tempo ci offra con puntualità i prodotti che eravamo abituati a ottenere. Meglio costruire il menu sulla base di quello che c’è al momento, che è al suo meglio, a prescindere dal calendario. Ecco quindi la stagione che non c’è, che poi c’è eccome, ma segue regole tutte sue dettate direttamente dall’orto. A questo concetto personale Ariel dedica i suoi menu, scanditi in una successione di atti. Io sono capitato alla fine dell’atto quarto del 2023 (il prossimo, dopo una breve pausa, sarà il primo del 2024).
Tre le declinazioni: Proiezioni territoriali, Pes-care e Profondità vegetali (tutti a 155 euro). Cosa importante: in ogni tavolo ciascun commensale può scegliere indipendentemente il suo menu, senza la tagliola del menu unico per tutti che porta a faide e compromessi. Non lo fa quasi nessuno, senza quasi.
A me è stato consentito di vagare tra i tre menu: una sfilza di snack iniziali (evidenziatore per la Trota di fiume del Casentino marinata e affumicata con tocchi e composta di mela annurca e uno zabaione caldo di vino bianco). Poi la sublime Insalata di autunno, con alla base una sporta di insalata russa con le radici di Borgo Santo Pietro, e sopra quasi una ventina di differenti erbette, con kombucha di cetriolo e olio di aneto. Ne avrei mangiate sette. Poi le Chioccioline di Colle di Val d’Elsa, con lardo e salsiccia di Grigio del Casentino e olio di friggitello arrosto. Poi il magnifico Risotto della Riserva San Massimo mantecato nella crema di cavolo nero di Borgo Santo Pietro e un cremoso del brie delle pecore di BSP e pezzetti di limone macerati.
Ancora: le Pappardelle in bianco mantecate con burro, parmigiano e timo, clorofilla di alloro condite con il cibreo, lo storico intingolo di creste di gallo che tanto piaceva a Caterina de’ Medici. Il piatto più solido e tradizionale della serata. Due secondi, un tuffo con il Rombo con cime di rapa e mandarino, uno zompo con la Lepre in salmì in taco di sedano rapa, cipollotto in agrodolce, polentina di grano saraceno e besciamella di brodo di cacciagione. Infine il Piccione cotto in carcassa con il suo filettino e una pera in osmosi con il mosto d’uva. Chiusura dolce con Castagna-cassis-meringa-caffè e con la Rsa di Caterina de’ Medici (rieccola). Servizio impeccabile ed entusiasta (già detto), abbinamenti “liquidi” interessanti e non banali. Se siete a Firenze è questo il posto dove andare, credetemi.
Saporium, lungardo Benvenuto Cellini 63r, tel. 055212933, chiuso la domenica e il lunedì