Avrebbero approfittato della tragedia del Ponte Morandi lucrando sui ristori stabiliti dal governo per le società della zona rossa o arancione istituite dopo il crollo. Per questo dieci persone – secondo la Finanza in gran parte presunti titolari di ditte create ad hoc per ottenere i crediti di imposta stabiliti dall’allora ministero dello Sviluppo economico per far rinascere il tessuto produttivo del quadrante della città danneggiato dal disastro – adesso rischiano il processo.
Secondo la Procura di Genova, che ha chiuso l’indagine, avrebbero ottenuto illegalmente quasi un milione di euro di crediti fiscali. Gli aiuti decisi dal governo per aiutare gli imprenditori e i liberi professionisti che nei mesi successivi alla tragedia si trovarono ad affrontare situazioni difficili per il blocco delle attività, avrebbero dunque agevolato società fantasma. Alcune aziende – sospettano gli investigatori delle Fiamme Gialle – si sarebbero trasferite all’interno del perimetro geografico disegnato dall’allora Commissario per l’emergenza, Giovanni Toti, entro il quale era possibile chiedere le agevolazioni, fino ad un massimo di 200mila euro, proprio per poter sfruttare a proprio vantaggio i ristori e gli sgravi fiscali. Certe imprese sarebbero arrivate all’improvviso, assumendo decine di dipendenti, altre avrebbero comunicato l’avvio fittizio di un’attività in quell’area, usufruendo comunque del credito di imposta, altre avrebbero fatto passare stanze di pochi metri quadrati per uffici di sedi in realtà mai diventate operative. Il sistema, secondo gli inquirenti, sarebbe stato ideato dai vertici della società bolognese «Ge.Co. Consulting». A loro si attribuisce la presentazione degli F24 attraverso i quali veniva effettuata la compensazione delle tasse. Gli altri otto indagati sono invece i titolari delle imprese più o meno farlocche. Le dieci persone coinvolte nell’inchiesta della Procura di Genova, accusate di falso ideologico, indebita compensazione e false dichiarazioni, hanno adesso venti giorni per farsi interrogare e chiarire la propria posizione. Altrimenti il magistrato procederà con la richiesta di rinvio a giudizio.