Il 2024 si è aperto con la medesima domanda che da anni attanaglia i soliti opinionisti di sinistra che nei salotti televisivi continuano a interrogarsi senza darsi pace: Giorgia Meloni è antifascista? Il presidente del Consiglio si è già espresso chiaramente sul tema, esprimendo la ferma condanna alle leggi razziali (bollate come “il punto più basso della storia italiana, una vergogna, una macchia indelebile nella storia del nostro Paese“) e puntando il dito contro la “vile e disumana deportazione di ebrei romani per mano della furia nazifascista” in occasione del ricordo del drammatico rastrellamento del Ghetto di Roma. Ma per il fronte rosso – come al solito – non è sufficiente. E così si è scatenato un duro botta e risposta a Piazza Pulita, programma condotto da Corrado Formigli su La7.
Ad accendere nuovamente le polemiche sono state le commemorazioni di Acca Larentia che hanno scatenato la bufera per alcuni militanti nostalgici che hanno fatto il saluto romano. Subito la sinistra è andata sulle barricate chiedendo a Meloni e alla destra di prendere le distanze, forse dimenticando che episodi del genere si sono verificati anche in passato quando al governo vi erano partiti rossi. Ora gli occhi sono tutt’altro che chiusi: sono circa 150 le persone identificate dalla Digos e sono al vaglio le posizioni di un’altra 50ina di persone; al momento le denunce ammontano a cinque.
Sarà servito a placare il dibattito? Macché. Non a caso la domanda su Meloni è finita al centro della discussione tra gli ospiti di Piazza Pulita, con gli opinionisti rossi che continuano a chiedere al presidente del Consiglio una netta presa di distanza dal fascismo. Non solo sarebbe utile leggere ancora una volta le dichiarazioni espresse in passato sulla questione, ma va considerata un’altra osservazione avanzata da Francesco Borgonovo: “Quando si dirà antifascista non vi basterà ancora, continuerete…“.
Ed è proprio questo il punto: per definirsi antifascista non bisogna necessariamente ricorrere alla “parolina magica”, visto che le parole durissime contro le leggi razziali e la Shoah (giusto per fare due esempi) sono eloquenti. Il giornalista stava tentando di portare avanti il suo ragionamento, è stato interrotto dai suoi interlocutori e alla fine ha sbottato puntando il dito contro il modo di agire della sinistra: “Si può parlare? Questo è l’esempio: quelli che hanno censurato, discriminato, che controllano il linguaggio e che rompono le palle su presentazione di libri, manifestazioni culturali sono quelli che stanno a sinistra“.
Borgonovo ha imputato al fronte rosso la responsabilità di vedere da anni lo spettro del ritorno del fascismo e al tempo stesso di aver dato vita a un regime con la patente dell’antifascismo. Immediata la risposta di Paolo Romano, consigliere regionale in Lombardia per il Partito democratico: “Le auguro di andare a vivere sotto il regime di Orban“. Ne è nato uno scontro sulla situazione dei diritti civili in Ungheria. Dal suo canto Borgonovo ha annotato che hanno fatto il congresso nazionale delle lesbiche. “Ma che diamine stai dicendo? Non sai di cosa parli“, ha tuonato il giornalista. Romano l’ha accusato di non essere “abituato a capire cosa sono i diritti civili“. C’è da aspettarsi che, con l’avvicinarsi delle elezioni europee, la carica rossa si farà sentire.