Paolo Moretti, 52 anni, si occupa di cronaca giudiziaria per La Provincia di Como. È tra i giornalisti che hanno seguito più a lungo la strage di Erba ed è da sempre convinto che sia «granitico» l’impianto accusatorio nei confronti di Rosa Bazzi e Olindo Romano, all’ergastolo per l’omicidio di quattro persone tra cui un bambino.
Moretti, che cosa ha pensato quando la corte d’appello di Brescia ha detto di sì all’istanza revisione del processo?
«È stata in parte una decisione inaspettata, ma non così clamorosa. Ancora siamo alla fissazione di una udienza in cui discutere della revisione. Se poi si decidesse di procedere effettivamente alla revisione di alcune prove, allora sì che potrei dire di essere stupito».
Le cosiddette «nuove prove» la convincono?
«Assolutamente no. C’è una mole di ulteriori elementi contro cui si scontrerebbero».
Ci faccia qualche esempio.
«Si contestano le confessioni degli imputati, ma lì si trovano dei particolari che sembrano irrilevanti ma che danno perfettamente l’idea che entrambi si trovavano sulla stessa scena del crimine. Entrambi dicono, ad esempio, a verbale, in momenti diversi e senza che nessuno sappia quello che ha detto l’altro, che la porta di casa dei Castagna è stata chiusa a chiave e che hanno deciso di ritornare dopo avere visto rientrare la vicina di casa».
Altri?
«Rosa aveva una ferita al dito: tutte e due dicono che se l’è procurata durante l’aggressione a Cherubini. Entrambi poi indicano come luogo in cui si sono lavati un ruscello accanto al lavatoio di Longone al Segrino. E si riferiscono agli stessi identici cassonetti utilizzati per buttare via armi e vestiti. Si sottovaluta l’importanza della confessione di Olindo sulla Bibbia. E la lettera a don Bassano Pirovano in cui chiedono perdono».
Anche la testimonianza di Mario Frigerio viene spesso messa in discussione.
«È stato ritenuto capace di intendere e volere e sintonizzato sul suo racconto. Credo che sia una forzatura che si sia autoconvinto della responsabilità di Rosa e Olindo. Ho personalmente risentito decine di volte la sua prima testimonianza e posso affermare che il nome di Olindo lo dice ben tre volte. Il pm non era forse pronto ad accettare la sua verità: è il verbale di un magistrato che è convinto che siano stati degli stranieri a uccidere».
Anche la macchia di sangue sul battitacco della portiera di Olindo Romano viene contestata.
«È stato spiegato nel processo che la macchia non è stata portata successivamente».
La pista della droga potrebbe tornare in auge?
«Di sicuro fu una pista a lungo esplorata, perché in quel periodo Azouz Marzouk era già sotto indagine per spaccio di droga. E mai è emerso elemento che possa avere fatto pensare a possibili ritorsioni nei suoi confronti così gravi».
Lei ha scritto che il processo in questo caso insegue lo show.
«Ho sentito dire a Tarfusser che si è appassionato alla vicenda leggendo un libro. Mi preoccupa una giustizia che insegue il clamore mediatico».