I poliziotti del commissariato di Siderno sono risaliti a lei grazie alle testimonianze dei migranti. Tra chi nello scorso mese di ottobre è sbarcato a Roccella Jonica, lungo la costa calabrese, ha indicato in una ragazza iraniana di appena 29 anni la scafista che ha traghettato il barcone dalla Turchia fino al nostro Paese. Un fatto insolito, ma non del tutto unico. La stessa donna infatti era stata individuata nel ruolo di scafista altre due volte, nelle quali aveva presentato documenti e identità differenti.
La scafista in viaggio con il figlio
Così come raccontato da Antonio Maria su Avvenire, assieme alla donna c’era anche un bambino di appena 10 anni. A seguito delle indagini, i poliziotti hanno accertato che si trattava del figlio dell’accusata. Molto probabilmente, la scafista voleva sfruttare la presenza del ragazzino per mimetizzarsi tra gli altri migranti. Presentarsi cioè come una mamma con un minore al seguito. In tal modo, avrebbe eluso i controlli e avrebbe potuto evitare ogni sospetto.
Ma il piano non è riuscito. Dopo lo sbarco avvenuto il 27 ottobre scorso, i 105 migranti approdati in Calabria hanno deciso di raccontare la loro odissea e di puntare il dito contro la scafista. I poliziotti hanno raccolto le loro testimonianze e in questi mesi hanno chiuso il cerchio attorno alla ragazza iraniana.
I migranti, in particolare, hanno raccontato che è stata lei a intascare i soldi del viaggio. Migliaia di Dollari, frutto delle richieste esose effettuate ai vari soggetti presenti sull’imbarcazione per raggiungere l’Italia. Agli agenti del commissariato di Siderno, i migranti hanno riferito che la ventinovenne aveva due complici con sé. Questi ultimi erano incaricati di guidare il barcone fino a destinazione, mentre la scafista aveva l’incarico per l’appunto di raccogliere i proventi del viaggio e di dare ordini agli stessi migranti.
Ordini, hanno raccontato ancora i testimoni, dettati e fatti rispettare con un certo autoritarismo. Non solo, ma durante i cinque giorni di viaggio dalla Turchia alla Calabria, la donna più volte avrebbe fatto uso di cocaina. Accertamenti in tal senso sono ancora in corso. Nel frattempo, la scafista è stata trasferita all’interno del carcere di Reggio Calabria. Per il figlio invece, rimasto da solo, la Croce rossa ha chiesto aiuto alla Caritas della diocesi di Locri.
La rotta turca dell’immigrazione
Il barcone in questione era partito poco dopo il 20 ottobre da Izmir, terza città turca. Da qui, i migranti hanno navigato verso l’Italia passando anche dalle acque greche. Oltre all’aspetto relativo all’arresto inconsueto di una donna scafista, la vicenda ha mostrato ancora una volta come la rotta turca dell’immigrazione sia tutt’altro che tranquilla.
Dalla penisola anatolica si continua a partire e questo nonostante la relativa distanza dalle coste italiane. I gruppi criminali che agiscono in Turchia sono a loro volta collegati con organizzazioni basate in medio oriente. Per questo riescono a far radunare nei porti turchi del Mediterraneo un gran numero di migranti provenienti soprattutto dall’Iraq e dalla Siria, così come dall’Afghanistan, dall’Iran e dal Bangladesh. Una volta in mare, l’obiettivo degli scafisti è passare a largo della Grecia: il timore è che le autorità di Atene possano attuare veri e propri respingimenti nei loro confronti. Si sceglie quindi l’Italia, con i barconi in grado di arrivare poi tra la Calabria e la Sicilia orientale.