Cinque Stelle, eia eia alalà. Movimento rossobruno 2.0 per eccellenza. Fascinazioni comuniste, che spaziano dalla Cina liberticida ai regimi sudamericani, ma anche simpatie neofà. Il «Che col moschetto», per intenderci. Un guazzabuglio populista e anti sistema, capace di tramare col Pd e strizzare l’occhio a CasaPound, votare contro il ddl Fiano sull’apologia di fascismo e poi dare di matto per 200 nostalgici col braccio teso alla commemorazione di Acca Larentia solo perché ora a Palazzo Chigi siede la Meloni. Figli di Beppe Mao, guru del caos, nato comico da piccolo schermo e cresciuto agit-prop da piazza. I meet up, i Vaffa Day, lo sbarco al Parlamento. E la scatola di tonno aperta e poi scofanata, tutti attovagliati con l’odiata Casta. Altro che algoritmo, democrazia diretta e «uno vale uno», sbarcata a Roma la stirpe grillina si è accomodata e in un lampo s’è fatta partito mandando a farsi benedire, una alla volta, le pietre miliari poste da Casaleggio.
Un tempo Grillo si beava: «Il M5s non fa alleanze né col Pd né con la Lega né con altri». Poi sono arrivati i governi con la Lega, col Pd e infine l’ammucchiata per SuperMario premier. Nel mezzo ci siamo goduti, mani nei sacchetti di pop corn, i tour in Francia per tifare gilet gialli, i contatti in Europa con forze di destra, gli ammiccamenti con frange estremiste in Italia. Perché, come si vantava il comico prima di auto proclamarsi sacerdote dell’Altrove, il M5s «non è di destra né di sinistra», il M5s è «ecumenico». Amen.
A officiare siffatto ecumenismo chi meglio dell’avvocato del popolo, Giuseppe Conte? Il politico in pochette, dimentico delle simpatie dei suoi accoliti, cannoneggia ora contro la Meloni. Manco i 200 di via Acca Larentia fossero iscritti a FdI. Ma che in porta, su un punto fondativo i 5 Stelle non hanno mai fatto dietrofront: il populismo.