Caro Armando,
ti ringrazio per avermi offerto il tuo interessante punto di vista, che in parte condivido e in parte non posso condividere. Non ho mai considerato la leva obbligatoria un male o un danno, ma non l’ho neppure mai reputata un bene o la soluzione ai problemi che tu sottolinei, come l’assenza di educazione e di rispetto nonché di senso civico da parte dei giovani. Ragioniamo: il servizio militare dovrebbe svolgersi intorno ai vent’anni, età in cui un ragazzo dovrebbe essere già formato, non si tratta mica di un bimbetto, bensì di un soggetto già adulto. Si presuppone, quindi, che gli siano già state impartite e trasmesse in famiglia quelle regole basilari che gli consentano di vivere all’interno di una società civile. Non deve essere lo Stato a provvedere a questo compito mediante il servizio di leva coatto, devono essere i genitori a svolgere questo ruolo educativo fin da quando il figlio è fanciullo. È in quella fase, ovvero in tenera età, che si assorbono e vengono interiorizzati, anche e soprattutto attraverso l’esempio, valori, norme, insegnamenti, usi, abitudini. La caserma non è una sorta di riformatorio per scapestrati, sbandati, bulli, delinquenti, teppisti. Le famiglie devono responsabilizzarsi e smetterla di puntare il dito contro la scuola, gli insegnanti e chiunque incarni l’autorità, allo scopo di preservare i figli dal crescere, dal farsi uomini e donne, dal comportarsi civilmente, dal prendere coscienza non solo dei propri diritti ma anche dei propri doveri, in quanto quando i doveri vengono calpestati e si scade nel crimine, certi diritti si perdono, come quello alla libertà personale.
Magari bastasse che i genitori non lavorassero, come tu indichi, perché i ragazzi siano ammodo. Innanzitutto, essi devono sgobbare per mantenere i figli stessi, inoltre il fatto di recarsi in ufficio o in fabbrica non impedisce a babbo e mamma di curare lo sviluppo intellettuale e morale di coloro che hanno messo al mondo. Finiamola con il concedere questi alibi ai genitori privi di voglia di indirizzare la prole, assenti, incapaci, inetti. Non credo neppure che le cose andrebbero meglio se le donne si chiudessero in casa, rinunciando alla professione, allo scopo di allevare i figli. È un luogo comune e un pregiudizio credere che basti questo perché i ragazzi vengano su bene. Io e mia moglie abbiamo lavorato entrambi e, nonostante ciò, ci siamo occupati dell’educazione dei pargoli. Conosco altre famiglie in cui la mamma è rimasta tra le quattro mura eppure ciò non ha impedito che i figli intraprendessero brutte strade.
Ecco, vedi, non ne farei una questione di quantità di tempo ma di qualità del tempo trascorso insieme. Si può stare sempre appiccicati ma non avere dialogo, campare sotto lo stesso tetto ed ignorarsi, e ci si può vedere poco tuttavia ascoltarsi tanto, prestando attenzione al figlio, a quello che gli accade, a come si sente, non esitando a ricorrere allo strumento della punizione allorché e ove ce ne sia bisogno.
Per abituare i ragazzi alla disciplina non serve il regime militare né che le donne facciano le casalinghe.