È la prima buona notizia dell’anno: è partito ieri il tavolo per le riforme del calcio italiano, promesso cento volte e mille volte rinviato. Tre ore dedicate ad altrettanti temi di grande attualità (sostenibilità, vivai, stadi) con il contributo della governance della Lega serie A (presenti Casini e De Siervo), dirigenti e presidenti di molti club di serie A ospiti a Roma del numero uno della Figc Gabriele Gravina. È stato solo il primo atto – altri vertici seguiranno a stretto giro di convocazione – ma i commenti degli interessati («clima costruttivo») lasciano pensare che questa volta sia possibile finalmente mettere in cantiere le riforme indispensabili al settore (non ancora affrontato il nodo della riduzione dei campionati) per uscire dalla crisi economica (5 miliardi i debiti complessivi) che lo attanaglia, accentuata peraltro dal Covid superato senza ricevere alcuna provvidenza, tipo quella destinata per esempio al cinema.
Ed è su questo punto che si è incentrato l’intervento di Urbano Cairo, presidente del gruppo editoriale Rcs e del Torino calcio il quale è tornato sull’abolizione, decisa a sorpresa a fine 2023 contenuta nella finanziaria, del decreto crescita (regime fiscale agevolato per calciatori provenienti dall’estero, ndr). «Avete visto cosa è successo con il decreto crescita?» ha chiesto Cairo ai cronisti. «Sembra quasi – ha proseguito – che ci sia una volontà da parte del governo di affossare il calcio italiano. Il mio è una sorta di paradosso utilizzato per segnalare che il movimento, a causa del covid, ha perso quasi 3,6 miliardi in tre stagioni mentre versa nelle casse dello stato 1,3 miliardi di euro all’anno, ha progetti di nuovi stadi bloccati, non può schierare tra i propri sponsor gli operatori delle scommesse, né ricevere introiti da quel ricco fatturato da 16 miliardi, 2 dei quali vanno allo stato».
Al grido di dolore di Urbano Cairo ha poi replicato il ministro dello sport Andrea Abodi con una nota appuntita che parte dal «il Governo non è ostaggio di nessuno» per passare alla difesa dell’abolizione del decreto crescita («ci assumiamo la piena responsabilità delle scelte che facciamo») per auspicare alla fine «che non si guardi all’industria del calcio da un unico punto di vista ma si possa avere una visione d’insieme». Più o meno dello stesso tenore la nota proveniente dalla segreteria della Lega di Matteo Salvini schierata da tempo «contro altri sconti destinati ai calciatori stranieri» ma disponibile «per accelerare la costruzione o l’ammodernamento degli stadi». Prima che certe promesse diventino interventi concreti, toccherà al calcio italiano realizzare le sue riforme. E tra queste non può mancare un diverso peso elettorale, proprio in ambito Federcalcio, della Lega di serie A.