Il mistero delle tre pistole: chi sparò ad Acca Larentia?

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Acca Larentia, 7 gennaio 1978. Le vacanze natalizie sono ormai un ricordo. Il nuovo anno è arrivato, portando con sé speranze, illusioni, promesse. E pure morte. Quel 7 di gennaio è un sabato pomeriggio e Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Maurizio Lupini decidono di passarlo con alcune ragazze. Si dirigono insieme al luogo dell’appuntamento, ma sono tremendamente in ritardo. Non le trovano. I tre sono accomunati dalla passione politica e, così, insieme ad altri due amici, decidono di andare nella sede dell’Msi in via Acca Larentia. Cercano l’amore Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta, ma trovano la morte.

Mentre i cinque stanno per uscire dalla sezione, un commando comincia a fare fuoco. “Franco Bigonzetti – racconta Valerio Cutonilli, autore di Chi sparò ad Acca Larentia. Il ‘78 prima dell’omicidio Moro – viene colpito in pieno volto da una pistola calibro 9, che lo scaraventa in aria e poi lo fa cadere a terra senza vita”. Francesco Ciavatta prova a scappare, ma viene freddato con un solo proiettile che gli trafigge la schiena. “La maggior parte dei componenti del commando – prosegue Cutonilli – spara a vanvera. Ma c’è anche chi sa usare le armi perché Ciavatta viene ammazzato con un solo colpo”.

Quando il commando rosso cerca di sfondare la porta della sezione per completare la carneficina, si accorge però che i missini si sono chiusi all’interno dell’edificio. I killer non riescono a entrare e uno di loro, che impugna una Skorpion (della quale parleremo in un articolo ad hoc), inizia a bestemmiare e scarica una raffica. “All’epoca ovviamente non esistevano i social ma – racconta Cutonilli – la voce comincia a rimbalzare per la città attraverso le telefonate e il passaparola. Tutti i ragazzi del Fronte della Gioventù iniziano ad accorrere in via Acca Larentia. È a questo punto che accadrà un altro grave fatto: Stefano Recchioni, che di lì a qualche giorno avrebbe iniziato il servizio militare nei paracadutisti, viene colpito da un proiettile sparato in piena fronte”. È il terzo morto del giorno.

Di questo omicidio viene accusato un ufficiale dei carabinieri, Eduardo Sivori, ma questa versione non regge. Le forze dell’ordine infatti sono dotate di calibro 9, mentre quello che colpisce Recchioni è 7,65. Impossibile dunque che sia stato lui a sparare. A meno che non abbia usato una di quelle che, in gergo, vengono chiamate “pistole non dichiarate”. Ipotesi, ovviamente. Anche perché questo momento di Acca Larentia è avvolto nell’ombra. Qualcuno però ha sparato. Ma chi? Probabilmente un’altra persona. “Io non credo ai complotti o al grande burattinaio”, spiega Cutonilli. “Però all’epoca venivano usati dei provocatori in piazza, erano forme di controguerriglia che in alcuni Paesi occidentali venivano adottate. Non so per chi lavorasse ma ho acquisito, attraverso gli atti, prove solide che testimoniano la sua presenza”.

Un gruppo di ragazzi esce dalla sede di Acca Larentia e si imbatte nei carabinieri, che evitano che raggiungano l’Appia. “Ho parlato con un ragazzo dell’epoca, che si trovava nelle ultime file, che mi ha raccontato di aver visto un uomo in trench che sparava in direzione delle forze dell’ordine, in aria, quindi non per colpire, per poi dileguarsi”. Lo fa per far scattare la reazione dei carabinieri. “Quell’uomo non era conosciuto da nessuno”, prosegue Cutonilli. “Era più vecchio dei missini”. Non sarà lui ad uccidere Stefano. A sparare, quel giorno, sarebbero state infatti addirittura tre pistole. Una di queste è quella che uccise Recchioni. Una storia nella storia. E che resta ancora con un grande punto interrogativo: Chi sparò ad Acca Larentia?

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