Altro che de-escalation, come sperano gli Stati Uniti. Hamas e Hezbollah continuano a lanciare razzi contro Israele e il primo rinnova ai Paesi musulmani l’invito a inviare armi. Hezbollah alza il tiro dal Libano e attacca per la prima volta con droni esplosivi la base militare di Safed, in Israele, quartier generale del Comando Nord dell’esercito a 14 chilometri dal confine. È la risposta all’uccisione del numero due di Hamas, al Arouri, a Beirut dicono i vertici dei miliziani libanesi al soldo dell’Iran – e anche la risposta all’uccisione del comandante di Hezbollah Wissam Al Tawil due giorni fa, sempre in Libano. Ma Israele, invece che fermarsi, rilancia e mette a segno altre due eliminazioni mirate di capi del «partito di Dio» in Libano, uccidendo Ali Hussein Barji, comandante delle forze aeree di Hezbollah nel Sud e mente degli attacchi anti-israeliani con droni. L’omicidio avviene proprio nel luogo dei funerali di Al Tawil, a Khirbet Selm, poco prima che migliaia di persone abbiano dato l’addio all’altro capo del gruppo estremista, salutato da migliaia di persone che hanno onorato il feretro avvolto nella bandiera gialla con kalashnikov di Hezbollah.
Il confronto militare fra lo Stato ebraico e l’asse della resistenza anti-Israele nell’area si intensifica non solo contro Hamas nella guerra a Gaza, con raid sempre più forti a Khan Yunis, nel Sud (40 membri di Hamas uccisi), ma anche in tutta la regione, Libano in testa. Nonostante le truppe israeliane lascino il Nord della Striscia di Gaza in maniera massiccia, preludio alla fase tre del conflitto, con il passaggio ai «raid mirati» chiesto dagli Stati Uniti, il fronte libanese resta caldissimo. Almeno cinque i morti negli attacchi israeliani con droni in Libano e fra le vittime ci sono due alti comandanti di Hezbollah. In un messaggio televisivo, il vice leader di Hezbollah Naim Qassem, spiega che il suo gruppo non vuole espandere il conflitto, ma se Israele lo fa, «la risposta è inevitabile nella massima misura necessaria per scoraggiare Israele». Lo stato ebraico, invece che arretrare, risponde con l’arma chirurgica: le uccisioni dei leader estremisti anche all’estero, come già avvenuto con un attacco aereo israeliano pure in Siria, a Damasco, con l’eliminazione del generale iraniano Sayed Moussawi. La guerra a Gaza lo ha detto chiaramente il ministro della Difesa israeliano Gallant deve un esempio e un monito per la galassia estremista. Beirut potrebbe essere il prossimo obiettivo. Per ora si colpisce con precisione, per evitare che il conflitto si allarghi, ma anche per dimostrare la capacità militare di penetrazione e attacco di Israele.
La situazione preoccupa il governo libanese che, come Israele, conta migliaia di persone costrette a lasciare le proprie case a ridosso della frontiera a causa dei continui confronti Israele-Hezbollah. Per questo il primo ministro libanese, Najib Mikati, spiega di essere pronto a «negoziare per raggiungere una stabilità di lungo periodo al confine meridionale» con Israele: «Chiediamo una soluzione pacifica e duratura sostiene il capo del governo a Beirut – Ma in cambio riceviamo avvertimenti su una guerra al Libano».
Israele non intende mostrare debolezza contro i gruppi islamisti che formano l’asse della Resistenza per distruggere lo Stato ebraico. Un messaggio chiaro per Hamas, ma anche per i Paesi alleati di Israele. Un messaggio sottolineato dal ministro per la Sicurezza nazionale e leader di estrema destra Ben Gvir, che si è rivolto al leader della diplomazia americana Blinken, ieri in Israele: «Segretario, non è il tempo di parlare dolcemente con Hamas, è tempo di usare quel grosso bastone», ha spiegato, citando la politica di Roosevelt. «Israele è impegnato a portare a termine il compito di rimuovere la minaccia di Hamas nel sud e a determinare un cambiamento nel nord, per consentire il ritorno dei residenti», ha insistito il centrista Benny Gantz, ministro del Gabinetto di Guerra. Per questo «è fondamentale aumentare la pressione sull’Iran», è la sintesi di Gallant. Se la diplomazia non servirà a far tornare gli israeliani di confine nelle proprie case, «Israele sta preparando anche alternative militari». Altro che de-escalation.