Scintille Blinken-Netanyahu, missione Onu e cessate il fuoco: cosa succede in Israele

Scintille Blinken-Netanyahu, missione Onu e cessate il fuoco: cosa succede in Israele

Un incontro lungo ma teso. Specchio della distanza sempre più evidente tra il governo israeliano di Benjamin Netanyahu e l’amministrazione Usa. Ma soprattutto prova abbastanza eloquente di come gli Stati Uniti starebbero perdendo la pazienza con Israele. Il faccia a faccia tra il citato Netanyahu e il segretario di Stato americano, Antony Blinken, sarebbe stato caratterizzato da elevati picchi di tensione. Gli stessi che avrebbero spinto l’ufficio del leader israeliano a non diffondere il consueto comunicato sui contenuti del colloquio e a non inviare aggiornamenti sul colloquio al gabinetto di guerra, in quello che a detta dei media di Tel Aviv potrebbe essere un ulteriore segnale del disaccordo tra i due interlocutori.

Le tensioni tra Usa e Israele

Secondo quanto riferito dall’emittente israeliana Channel 12, il lungo vis a vis tra Blinken e Netanyahu sarebbe stato piuttosto teso. La stessa fonte sostiene che si starebbe ulteriormente allargando il divario di opinione sulla guerra fra Israele e Stati Uniti, e che Washington starebbe perdendo la pazienza. Non è un caso che l’inviato di Joe Biden abbia consigliato al primo ministro israeliano di evitare “ulteriori danni civili” a Gaza per scongiurare il rischio che il conflitto possa estendersi nell’intero Medio Oriente. Chiaro il riferimento a quanto accaduto nel sud del Libano, dove tre membri di Hezbollah, gruppo che sostiene Hamas, alleato dell’Iran, sono stati uccisi in un attacco mirato contro il loro veicolo.

Il ministro del Gabinetto di Guerra israeliano, Benny Gantz, ha twittato di aver sottolineato nel suo incontro con Blinken che “Israele è impegnato a portare a termine il compito di rimuovere la minaccia di Hamas nel sud e a determinare un cambiamento nella situazione nel nord del Paese per consentire il ritorno dei residenti“. Il portavoce del dipartimento di Stato Usa Matthew Miller ha affermato che Blinken – oltre a discutere con Gantz il rilascio degli ostaggi e lo smantellamento delle infrastrutture terroristiche di Hamas – “ha sottolineato l’urgente necessità di proteggere le vite civili e accelerare la consegna di aiuti umanitari ai palestinesi a Gaza, anche attraverso un efficace meccanismo di deconflitto“.

Dopo aver incontrato Netanyahu, Blinken ha dichiarato sul social X di aver “riconfermato il nostro sostegno al diritto di Israele di impedire che accada un altro 7 ottobre“. “Ho anche sottolineato l’importanza di evitare di nuocere ai civili, di proteggere le infrastrutture civili e assicurare la distribuzione di assistenza umanitaria a Gaza“, ha aggiunto il capo della diplomazia americana.

La missione Onu nel nord della Striscia

Dopo i meetinga porte chiuse Blinken ha tenuto una conferenza stampa confermando la possibilità di una missione dell’Onu nel nord della Striscia. Le Nazioni unite, ha spiegato il segretario di Stato Usa, condurranno una missione di valutazione “per determinare cosa deve essere fatto per permettere ai palestinesi sfollati di tornare alle loro case nel nord di Gaza“. Blinken ha poi sottolineato ritorno dei palestinesi “non avverrà in una notte, ci serie problematiche umanitarie e di infrastrutture. Ma la missione Onu avvierà un processo che valuterà questi ostacoli e come potranno essere superati“.

La posizione del governo Netanyahu

Blinken era stato incaricato di fare leva sulla diplomazia per proporre una decisa de escalation. L’alto funzionario statunitense ha tuttavia ricevuto segnali poco confortanti. Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha comunicato all’ospite d’onore che Israele intensificherà le operazioni nel sud di Gaza, nell’area di Khan Yunis, e che queste continueranno finché le forze armate non avranno preso i leader di Hamas e liberato gli ostaggi.

Gallant ha inoltre precisato che nel nord della Striscia le truppe hanno cambiato strategia, optando per una campagna sul terreno meno intensiva, con meno truppe di terra e meno attacchi aerei, più focalizzata su operazioni selettive basate su segnalazioni dell’intelligence. Quanto alle tensioni crescenti al confine con il Libano, lo stesso Gallant ha ricordato che la priorità di Israele è permettere il ritorno a casa in sicurezza dei residenti nelle comunità al nord. Un obiettivo, ha aggiunto, che sarebbe preferibile raggiungere per via diplomatica ma non è esclusa l’alternativa militare.

Nelle ultime ore il capo della diplomazia statunitense ha ribadito il sostegno a Israele, ma ha anche sottolineato l’importanza di evitare ulteriori danni ai civili e di proteggere le infrastrutture civili a Gaza, dove il bilancio ha raggiunto i 23.210 morti, secondo i dati forniti dal ministero della Salute gestito da Hamas. Sul lungo periodo, Blinken ha inoltre ribadito la necessità di garantire una pace duratura e sostenibile per Israele e la regione, anche attraverso la realizzazione di uno Stato palestinese.

Obiettivi divergenti

Gli obiettivi di Israele e Stati Uniti, dunque, cozzano tra loro visto che Tel Aviv intende portare a termine la missione nella Striscia di Gaza, liberando gli ostaggi e neutralizzando Hamas, affrontando anche il rischio di un allargamento del conflitto in Medio Oriente. Sul fronte opposto gli Usa, pur sostenendo Netanyahu, appaiono sempre più infastiditi dal comportamento del loro partner e vorrebbero porre un argine alla guerra. Evitando, e questa è la parola d’ordine ripetuta tra i corridoi della Casa Bianca, che l’incendio possa coinvolgere ulteriori Paesi.

I leader israeliani dovranno prendere da soli decisioni difficili“, ha detto in conferenza stampa Blinken, ricordando che tutti gli alleati regionali dell’America gli hanno detto che la pace con Israele era raggiungibile, ma che avrebbe dovuto essere un approccio integrato che includesse un percorso politico verso una soluzione a due Stati.

Le precisazioni della Casa Bianca

In serata il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha un po’ smorzato i toni rispetto alle frizioni spiegando che gli Stati Uniti non sostengono un cessate il fuoco tra Israele e Hamas a Gaza. Kirby ha spiegato in un briefing con i giornalisti che gli Usa: “Non sostengono un cessate il fuoco in questo momento. E non c’è alcun cambiamento in questo, perchè crediamo che in questo momento non avvantaggerebbe nessuno tranne Hamas“. L’America, ha concluso, spinge per “una pausa umanitaria ma non un cessate il fuoco generale in questo momento“.

Leave a comment

Your email address will not be published.