Di grande nell'”Alfredo” di Donizetti c’è un po’ poco

Di grande nell'"Alfredo" di Donizetti c'è un po' poco

Dopo aver assistito al concerto al Teatro Grande di Brescia guidato dal focoso astro direttoriale Teodor Currentzis, non poteva mancare, per pari opportunità e carità di patria, una gita nell’altra città lombarda, Bergamo, che si fregia quest’anno del titolo di capitale italiana della cultura.

Si riesumava la prima opera che Gaetano Donizetti scrisse per il Teatro di San Carlo di Napoli, Alfredo il grande, naufragata nel luglio 1823. La Leonessa d’Italia e la Città dei Mille che non si sono mai troppo amate sono accomunate da una medesima, diciamo, sobrietà nelle manifestazioni musicali. Ci si sarebbero aspettate risorse straordinarie in linea con gli intenti capitali, e invece abbiamo visto prima dello spettacolo una piccola rappresentazione in costume sul Sentierone degli scontri fra Sassoni e Danesi, quelli che su Netflix hanno entusiasmato nelle quattro serie di The Last Kingdom. Non molto diverso l’effetto della cordiale mise en espace organizzata dal regista Stefano Simone Pintor: proiezioni di codici miniati, coristi in smoking con il porta-spartito nei colori danesi e inglesi, costumi in viaggio nel tempo.

Nonostante l’ordine garantito dalla puntuale direzione di Corrado Rovaris, le voci fresche del Coro della Radio Ungherese, l’impegno dei solisti, le vicende del primo unificatore del Regno Unito sono rimaste inchiodate alla superficie, appiattite in un libretto senza guizzi e in una musica ancora nel guado fra Mayr e Rossini. Una volta tanto un giudizio negativo, quello dei napoletani abituati agli anni d’oro di Rossini, era fondato. Di Grande, a parte l’organico della banda in palcoscenico, non c’era molto in quest’Alfredo.

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