Vendetta israeliana. Capo di Hezbollah ucciso da un drone. E Nasrallah tace

Vendetta israeliana. Capo di Hezbollah ucciso da un drone. E Nasrallah tace

Ora le premesse per un nuovo devastante conflitto sul suolo libanese ci sono tutte. La tempesta di Kornet – i missili anticarro di Hezbollah che sabato hanno distrutto una base di Tsahal sul monte Meron – è stata seguita ieri dall’eliminazione di Wissam al Tawil, un importante comandante del Partito di Dio, incenerito dal missile di un drone con la stella di David. Ma in Medioriente le peggiori premesse sono sempre accompagnate da altrettante vie d’uscita.

In questo caso la scappatoia potrebbe nascondersi tra le righe della troppo a lungo ignorata Risoluzione 1701. La Risoluzione, votata nell’agosto 2006 dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu per mettere fine alla «guerra dei 40 giorni» tra Israele ed Hezbollah, prevede il ritiro delle milizie sciite fin oltre il fiume Litani, 29 chilometri a Nord del confine con Israele e il dispiegamento, al loro posto, dell’esercito libanese. Per capire se la soluzione, rilanciata ieri dal ministro degli Esteri libanese Abdallah Bou Abib, possa funzionare, bisogna vedere se e come Hezbollah risponderà all’eliminazione del suo comandante. Un’eliminazione militarmente imbarazzante perché arrivata a neanche una settimana dall’uccisione di Saleh al Arouri, il numero due di Hamas colpito dai missili israeliani nel cuore di Dahieh, il quartiere di Beirut roccaforte di Hezbollah. Conosciuto come il Comandante Jawad, al Tawil era l’uomo a cui il Partito di Dio aveva affidato l’unità Radwan, un reparto d’élite incaricato di pianificare le infiltrazioni in territorio israeliano. Dunque se alla rappresaglia seguisse un’azione altrettanto devastante ai danni di Israele il premier Bibi Netanyahu si troverebbe tra le mani il «casus belli» perfetto per allargare le ostilità al territorio libanese e «riportare – come detto durante una visita alla frontiera settentrionale – la sicurezza qui nel Nord». Ma il premier israeliano deve fare i conti con l’arrivo di Antony Blinken. Rispedito a Gerusalemme da un Joe Biden preoccupato dall’idea che Bibi tenti di allargare il conflitto per allungare la propria sopravvivenza politica, il Segretario di Stato cercherà di ridurre a più miti consigli Netanyahu e i suoi ministri. Ma la guerra si fa sempre in due. Prima di vaticinare il peggio bisogna considerare anche le posizioni di Hezbollah e dei suoi «padrini» iraniani. Su quel lato della barricata la situazione non è facile.

Nonostante gli oltre centomila missili immagazzinati nei propri arsenali e l’indubbia efficienza militare, la milizia sciita deve fare i conti con il risentimento e la disaffezione di una popolazione libanese che l’accusa di aver spinto il Paese al disastro economico. In questa situazione pochi perdonerebbero a Hezbollah una nuova guerra. Anche perché tutti sanno che gli aerei israeliani trasformerebbero Beirut e le città del Sud in altrettante Gaza. Con un costo in termini di vite umane capace di superare il mezzo milione di vittime. Ma Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah che in questi tre mesi si è – non a caso – ben guardato dal scendere in campo al fianco dei «fratelli» palestinesi, deve fare i conti anche con i problemi dell’Iran. Le sanzioni e lo scontro con l’Occidente hanno messo in ginocchio una Repubblica Islamica che nel lungo periodo ben difficilmente potrebbe reggere lo scontro con una potenza Usa schierata al fianco di Israele. Dunque la riscoperta della fin qui ignorata risoluzione 1701 potrebbe rivelarsi la soluzione più desiderata anche da Hassan Nasrallah. Fingendo di allinearsi – pur con 17 anni di ritardo – al mandato Onu, il capo di Hezbollah salverebbe faccia e potere. E forse persino la pelle.

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