Strage di Acca Larentia, cos’è successo il 7 gennaio 1978

Acca Larentia, 150 identificati. Piantedosi gela la sinistra: "Anche coi vostri governi..."

L’epifania non solo le feste porta via. Talvolta anche la vita. Roma, 7 gennaio 1978. È ormai sera e, in via Acca Larentia, cinque ragazzi stanno uscendo dalla sede dell’Msi con alcuni volantini per pubblicizzare un concerto degli Amici del vento, un gruppo milanese di musica alternativa a cui Guido Giraudo ha recentemente dedicato un libro (Sole d’Occidente, Passaggio al bosco). Non riusciranno mai a farlo: verranno infatti fermati da un commando di sinistra a colpi di armi automatiche. Uno dei ragazzi, Vincenzo Segneri, viene ferito a un braccio mentre Franco Bigonzetti viene freddato sul colpo. Francesco Ciavatta, di soli 18 anni, prova a scappare ma i terroristi lo seguono e gli sparano alla schiena. Morirà più tardi, mentre un’ambulanza lo porta, invano, in ospedale. “Un battito del cuore a un tratto si è interrotto”, cantano gli Hobbit, un gruppo rock di destra, in HL78 (Emanuele Tesauro, In viaggio senza Gandalf, Passaggio al Bosco).

Quel 7 gennaio tutto il mondo di destra è scosso. Turbato. Infuriato. L’omicidio è brutale ed è l’ultimo di una lunga serie. Giovani e meno giovani iniziano a radunarsi in via Acca Larentia. Un giornalista, forse per errore o forse in sfregio ai morti, getta un mozzicone di sigaretta sul sangue rappreso dei caduti. I missini non ci stanno. Scoppiano dei tafferugli. “E c’è sangue in terra, ci sta odio tra la folla, ci sta un grido: ‘Boia chi molla'”, proseguono gli Hobbit. La polizia carica. È il caos. In questi scontri muore, colpito da un colpo di pistola (ancora oggi non si sa sparato da chi), il 19enne Stefano Recchioni, chitarrista degli Janus.

I nuclei armati per il contropotere territoriale rivendicano la strage di Acca Larentia. Inviano una cassetta in cui affermano di aver “colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica”. Ovvero un volantinaggio. E poi l’ennesima minaccia: “Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga”. Perché i fascisti, in quegli anni, sono dei topi che, nella migliore delle ipotesi, devono esser rispediti nella fogna. Nella peggiore, sotto terra.

Quella di Acca Larentia è una delle ferite più dolorose della destra italiana. Anzi, in un certo senso quella strage cambia le sorti di tanti ragazzi. Non solo di quelli uccisi. Ma anche di quelli che, per vendicarsi del massacro, decidono di darsi alla lotta armata insieme ai Nar. Secondo il politologo Giorgio Galli, inoltre, i nuclei armati per il contropotere territoriale potrebbero essere stati gli “utili idioti” usati, da qualche centro di potere, per innalzare la tensione in Italia. L’attentato rientrerebbe dunque in una strategia più ampia, ma questa è un’altra storia. Basti però dire che una delle armi usata dai “kompagni” viene ritrovata, anni dopo, in un covo delle Brigate rosse.

Ogni 7 di gennaio l'”Area”, come si definisce, si ritrova a Roma per commemorare Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni. Ognuno ricorda a modo suo. C’è chi depone una corona di fiori; chi si ostina ad alzare il braccio al cielo e ad urlare “Presente!”; chi se ne sta un po’ più in disparte in silenzio. Anime diverse, unite da una medesima ferita. E che ancora oggi, sottovoce, canta insieme a Francesco Mancinelli: “E braccia tese ai funerali ed un coro contro il vento oggi è morto un camerata ne rinascono altri cento”.

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