La rete dei militanti nel mare dei centri sociali

La rete dei militanti nel mare dei centri sociali

Il femminismo militante italiano è sempre stato orientato a sinistra ma era capace di abbracciare trasversalmente le lotte per la conquista dei diritti e i riconoscimenti civili. Le femministe di nuova generazione, invece, sono incapaci di operare su un attivismo trasversale, portando le lotte in una dimensione politica ancora più chiusa ed estrema. Oggi, i movimenti femministi, anzi, transfemministi, come amano definirsi, hanno un legame a doppio filo con i centri sociali del Paese.

Lì, si mescolano e si confondono tanto che, spesso, le stesse organizzazioni nascono come costole dei centri sociali. Un esempio è il «Laboratorio femminista» di Roma, la cui sede è il centro sociale Csoat Auro e Marco dello Spinaceto. Si definiscono attivisti del «femminismo intersezionale», qualunque cosa voglia dire, e del «transfemminisimo queer». L’identità femminile, che è sempre stata il fulcro dei movimenti di questo tipo, viene appiattita sull’ideologia di genere, annacquando quelle che sono le vere lotte femministe capaci di scuotere l’Italia del passato. Lo stesso centro sociale ospita anche la «collettività transfemminista queer» delle «Cagne sciolte», che sono di casa anche presso l’Esc Atelier di San Lorenzo, sempre a Roma.

A Torino, le veterofemministe di «Non una di meno» trovano ospitalità al centro sociale Manituana anche con la loro sezione under18, aperta agli iscritti dai 13 anni per «discutere su transfemminismo e discriminazioni». L’avvicinamento dei giovanissimi è parte di una strategia propagandistica, utile a ingrossare sia le file del femminismo militante radicale che quelle dei centri sociali, che utilizzano solitamente i giovanissimi come scudi durante le manifestazioni violente. Nel capoluogo sabaudo, il movimento è legato anche al centro sociale Askatasuna, noto per i cortei violenti e per le azioni no Tav.

A Milano, invece, si trovano collegamenti col Collettivo Kasciavit e il Collettivo Zam ma anche col Macao, Cantiere, Casc Lambrate, Csoa Lambretta e altri.

A Parma, invece, le femministe del «Collettiva-transfemminista – Medusa», fanno rete col centro sociale ArtLab, che occupa gli spazi dell’ateneo locale, e tra gli altri anche con il centro sociale Rivolta di Marghera, nel Veneto. Il Laboratorio Cybilla di Bologna è di casa negli spazi occupati dal Cua, collettivo universitario. Scavando in tutte le città, appare evidente l’intricata ragnatela di collegamenti costruita da «Non una di meno», che in pressoché ogni città in cui è presente si appoggia ai centri sociali. E tutti i collettivi femministi sembrano aver abdicato in suo favore, limitandosi ad operare come realtà satellite che fruiscono dei suoi link. Il femminismo come lotta di libertà è diventato un movimento esclusivo e radicale. Alla faccia della sbandierata inclusività di cui si fanno vanto: femminismo sì, ma solo se di sinistra.

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