Tutto dipenderà dalla scelta di Francesco Profumo che conosceremo nel giro di qualche settimana: il presidente dell’Acri dovrà infatti decidere se anticipare di un anno (rispetto alla scadenza naturale) l’addio alla guida dell’Associazione delle fondazioni bancarie e accettare la proposta di Giuseppe Guzzetti di assumere nella primavera 2025, quando verrà nominato il nuovo cda, la presidenza di Intesa Sanpaolo in successione con Gian Maria Gros-Pietro in scadenza; oppure lasciar correre le cose secondo il loro verso completando il mandato al vertice dell’Acri. Una decisione non facile per Profumo perché implicherebbe una scelta in un certo senso al buio (pur con tutte le garanzie del caso, un anno di attesa è però lungo e molte cose nel frattempo possono accadere) ma obbligata dalla legge sul conflitto d’interesse, mentre d’altra parte susciterebbe un qualche imbarazzo per una designazione che la norma vorrebbe affidata al futuro consiglio di amministrazione dell’istituto. In più, la scelta dell’ex ministro del governo Monti, apparentemente finalizzata a regolare una partita tra grandi azionisti di Intesa (la torinese Compagnia di San Paolo e la milanese Fondazione Cariplo), in realtà costituirebbe l’inizio di un riassetto più profondo ai vertici di quella che ormai appare a tutti gli effetti come la Nuova Galassia economico-finanziaria.
Una Galassia diversa da quella che per un trentennio aveva animato le cronache finanziarie nazionali a cavallo del secolo, e che vedeva nel triangolo Mediobanca-RizzoliCorsera-Generali il crocevia di potere attorno al quale si erano coagulate le principali banche e le grandi famiglie del capitalismo italiano che, grazie ai finanziamenti erogati nell’ambito di quel sistema, avevano contribuito a scrivere la storia dell’industrializzazione del Paese. Deceduti i protagonisti di quel mondo, smembrati o venduti alle multinazionali straniere gran parte dei gruppi che lo avevano animato, fortemente ridotto il numero delle famiglie che lo avevano rappresentato, quel crocevia ha indubbiamente perso di centralità diventando esso stesso preda di interessi nuovi.
Ebbene, oggi le 86 Fondazioni bancarie riunite in Acri, forti di un patrimonio di 41 miliardi e delle loro partecipazioni azionarie nel settore, di fatto influenzano le nomine ai vertici di numerose banche e quindi implicitamente presidiano il flusso dei finanziamenti immessi nelle arterie economiche del Paese. Negli ultimi anni la loro forza si è accresciuta anche per la presenza al loro fianco delle 19 Casse previdenziali private, che con un patrimonio valutato circa 104 miliardi (di cui oltre il 50% investito in attività estere) hanno deciso di volgere lo sguardo verso la finanza del Nord investendo non meno di 10 miliardi in partecipazioni bancarie.
E dunque, per tornare al dilemma di Profumo, qualora accettasse la proposta per il vertice di Intesa, si renderebbe necessario colmare subito due caselle centrali nel firmamento delle Fondazioni: la guida dell’Acri e la presidenza della Compagnia di San Paolo per la quale Profumo, in scadenza fra tre mesi, non è più rinnovabile. E mentre per quest’ultima casella nella ridda di nomi circolati in questi giorni sembra farsi strada quello di Giorgio Barba Navaretti, economista con alle spalle una lunga docenza presso l’Università Statale di Milano e attualmente presidente della Fondazione Collegio Carlo Alberto di Torino, per la guida dell’Acri si parla di Giovanni Azzone, da pochi mesi al vertice della Fondazione Cariplo, fortemente spinto da Guzzetti che nonostante i suoi quasi 90 anni (li compirà a maggio) ancora non riesce ad appagare la vocazione monastica tanto agognata, preferendo continuare a tirare i fili di un sistema che tuttora vede in lui un oggettivo punto di riferimento.
Ma la partita non sarà pacifica perché alla prossima guida dell’Acri guardano anche forze nuove e diverse che preferirebbero una figura come Fabrizio Palenzona, da quasi un anno alla guida della Fondazione Crt e alle prese con il rafforzamento della sua rete di rapporti che ora si estende anche alle Casse di previdenza, alcune delle quali ansiose di stringere con la Nuova Galassia un’alleanza organica finalizzata a una gestione più proficua delle risorse ad esse affidate. E qui si agganciano altre due partite che, pur non avendo legami diretti con le manovre in corso fra Torino e Milano, vedono schierati gli stessi attori in combinazioni diverse.
Indirettamente legata all’indicazione del futuro presidente di Intesa Sanpaolo, entro poche settimane le 65 Fondazioni azioniste di Cassa depositi e prestiti (cui fa capo complessivamente il 16% di Cdp) saranno chiamate a indicare il nome del nuovo presidente in sostituzione di Giovanni Gorno Tempini, in scadenza ad aprile come l’amministratore delegato Dario Scannapieco. Ma mentre per la successione di quest’ultimo provvederà il Tesoro (82,5% di Cdp) scegliendo in una rosa che dovrebbe comprendere lo stesso Scannapieco, Antonio Turicchi e Alessandro Daffina, per la presidenza si è fatto il nome fortemente condiviso di Gaetano Miccichè, attuale presidente della Divisione Imi-Ci di Intesa, che tuttavia non sembra intenzionato a lasciare un gruppo che gli sta dando grandi soddisfazioni. E qualora confermasse il suo «no grazie», non sarà facile mettere d’accordo tutti su una nuova indicazione.
La seconda partita indirettamente collegata appare ancora più complessa e ha come teatro delle manovre il fondo F2i il cui azionariato è costituito da 19 tra Fondazioni, grandi banche, Casse di previdenza, oltre a due fondi internazionali. Guidato dal ceo Renato Ravanelli, F2i partecipa al capitale di una costellazione di aziende medio-grandi (per un valore di oltre 7 miliardi) che spaziano dagli aeroporti alla logistica, dalla transizione green alle reti di distribuzione e infrastrutturali, dall’intelligenza artificiale al settore socio-sanitario: un centro strategico nel cuore del potere finanziario. Qui il confronto è già entrato nel vivo con la recente disdetta del patto di sindacato che durava da dieci anni, e che nell’imminenza del rinnovo per altri cinque anni vede una parte dei soci mettere in discussione sia gli orientamenti in relazione agli investimenti sia il «gesto di arroganza» di cui si sarebbero macchiati i manager proponendo un aumento di capitale loro riservato che avrebbe diluito le partecipazioni storiche del 30%. Una proposta contestata dal vertice Enpam per esempio, la ricca Cassa previdenziale dei medici (26 miliardi di patrimonio) alla quale si sono uniti nella disdetta altre tre Casse, ma soprattutto Unicredit e Fondazione Crt, per una partecipazione complessiva del 33% circa: una minoranza di blocco cui evidentemente non basta più far sentire la sua voce. Nemmeno a dire, sul fronte opposto svettano Intesa Sanpaolo (10% diretto e 20% raccolto tra le fondazioni sue azioniste) e Cdp (14%) che, forti di una maggioranza relativa, hanno affidato ad Azzone il compito di gestire la ricomposizione degli interessi. A complicare la vicenda la notizia recente che uno dei due fondi esteri, il francese Ardian, ha messo in vendita la sua quota del 10 per cento.
Una ricomposizione dunque non facile perché, sebbene non abbia oggi sul tavolo la sostituzione del ceo Ravanelli (scade nel 2025), non è un mistero che su quella poltrona abbiano messo gli occhi più d’uno. A cominciare dall’attuale direttore generale Enpam, Domenico Pimpinella, che d’intesa con il presidente Alberto Oliveti ha gestito lo strappo in Mediobanca quando nell’ottobre scorso la Cassa dei medici ha deciso di saltare il fosso votando a favore della lista Milleri. Probabilmente anche di ciò si parlerà nelle riunioni convocate a partire da domani tra i big delle Fondazioni bancarie per tentare di trovare soluzioni condivise alle diverse partite aperte, affinché la Nuova Galassia allargata alle Casse previdenziali possa dispiegare tutta la sua potenza al servizio, anzitutto, dell’economia italiana.