Israele ha scelto il giudice che lo rappresenterà nella causa della Corte Internazionale di Giustizia che dovrà valutare l’accusa di genocidio presentata dal Sudafrica. Ed è una scelta in qualche modo sorprendente. Si tratta infatti di Aharon Barak, ex presidente della Corte Suprema israeliana, non proprio un fedelissimo di Benjamin Netanyahu. È stato infatti tra i maggiori sostenitori della protesta contro la riforma della giustizia voluta dal primo ministro e che ha agitato l’opinione pubblica israeliana ben prima che l’attacco di Hamas del 7 ottobre spostasse l’attenzione altrove.
Secondo le regole dell’Icj uno Stato che non ha già un giudice della sua nazionalità che faccia parte della corte può scegliere un giudice ad hoc che la rappresenti, una sorta di avvocato difensore. E in Israele si è aperto un dibattito sul fatto se Barak – 87 anni, nato in Lituania, sopravvissuto da bambino all’Olocausto e nel 1947 emigrato con la famiglia in quella che allora era la Palestina ancora sotto il mandato britannico – sia la persona giusta per difendere dalle accuse di genociadio un governo con cui non ha molto da spartire. In un post su X ripreso dal Jerusalem Post, l’ex leader del partito di sinistra Meretz Zahava Gal-On si chiede se all’Aja Barak «continuerà a ignorare il fatto che il governo che difenderà lo ha reso un bersaglio per anni, più di due decenni dopo aver lasciato l’incarico (alla Corte Suprema, ndr). Questo è un governo che non merita i suoi cittadini». Ma c’è anche chi vede il bicchiere mezzo pieno, come il parlamentare Gideon Sa’ar (Unità Nazionale), che sempre su X lòoda la scelta di Netanyahu: «Al momento della verità l’aggressione, la diffamazione e la delegittimazione hanno lasciato il posto alla reputazione internazionale, al buon nome acquisito in decenni, alla professionalità».
Sono ore sull’orlo di una crisi di nervi per Netanyahu, che si sente accerchiato anche internamente, anche nel suo governo «di guerra». Il premier è a dir poco seccato del fatto che molti membri dell’esecutivo parlino con una certa disinvoltura di temi sensibili relativi alla guerra quando parlano con i gionralisti. Per questo Netanyahu ha proposto che i membri del gabinetto e gli alti funzionari che partecipano alle discussioni su questioni di sicurezza nazionale siano sottoposti al test della macchina della verità. Una mancanza di fiducia piuttosto palese, dopo che una riunione del gabinetto di guerra è qualche giorno fa è finita a urli tra l’estrema destra e il resto dell’esecutivo sul «day after» di Gaza.