Sono passati tre mesi dall’attacco di Hamas contro Israele, che ha incendiato ancora una volta il Medio Oriente. Ma mentre la guerra prosegue a Gaza, ora il fronte con Hezbollah sembra essere la prossima frontiera del conflitto.
La guerra di confine tra Israele e Hezbollah
Nel nord di Israele prosegue, infatti, lo stillicidio di confine con il Libano: soltanto oggi circa otto razzi sono caduti vicino alla postazione Astrà dell’esercito israeliano sul monte Hermon, come riporta il Jerusalem post, citando le forze israeliane, che hanno risposto, colpendo i luoghi da cui erano stati effettuati i lanci. Un altro missile, riferisce The Times of Israel, ha colpito un edificio nella città settentrionale di Metula, in gran parte evacuata, provocando danni ma nessun ferito. Altri razzi lanciati verso la zona sono caduti in aree aperte.
Una guerra nella guerra che sta provocando un’ulteriore catastrofe umanitaria nell’area di confine tra i due Paesi: sono più di 76mila le persone sfollate dal sud del Libano negli ultimi tre mesi a causa degli scontri transfrontalieri tra le forze israeliane e Hezbollah. Lo stima l’Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni Unite: degli sfollati, oltre l’80% vive presso parenti e solo il 2 è ospitato in quattordici rifugi collettivi nel sud, soprattutto nella città costiera di Tiro e nella regione di Hasbaya. Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha invece dichiarato all’inviato speciale degli Stati Uniti nella regione Amos Hochstein che più di 80mila residenti nel nord di Israele sono stati sfollati a causa degli scontri alla frontiera con Beirut.
Per Israele il tempo sta per scadere
Ma mentre l’intricata diplomazia prova a trovare la quadra, il tempo scorre, e né i proxy iraniani, tantomeno Teheran, hanno intenzione di concedere spazio al nemico. Secondo quanto riferito dall’ufficio di Gallant, in un incontro a Tel Aviv con Amos Hochstein, l’inviato speciale del presidente americano, Israele vorrebbe optare per una non precisata “nuova realtà sul fronte settentrionale” (al confine con il Libano), che permetta il ritorno sicuro dei cittadini, facendo riferimento ai circa 80 mila residenti sfollati. L’idea del tempo che sta per scadere è aggravata dal sentiment sviluppatosi nei giorni seguenti l’uccisione a Beirut di Saleh al Arouri, che ha incancrenito ulteriormente la situazione sul campo, provocando un aumento della virulenza degli attacchi di Hamas e di Hezbollah.
Quanto è reale l’ipotesi di un conflitto Israele-Hezbollah?
Rebus sic stantibus, c’è da chiedersi quanto sia reale un conflitto aperto e dichiarato tra le due realtà. Retrodatando l’analisi agli ultimi anni, va notato che l’attacco di Hamas del 7 ottobre ha interrotto una lunga era di quiete nell’area, della quale hanno potuto beneficiare sia Tel Aviv che Beirut, eccezion fatta per la “guerra dei 34 giorni” del 2006. Del resto, un’eventuale escalation non è nelle mani del governo d’argilla di Beirut, ma degli sciiti alleati di Teheran. La strategia di Hassan Nasrallah, anche se tiepida, ha messo in crisi un Libano già afflitto da una grave crisi economica: il governo libanese e una gran parte della popolazione avrebbero, infatti, evitato volentieri qualsiasi coinvolgimento nel conflitto in corso. Un ruolo in cui il Paese dei Cedri si ritrova tirato per la giacchetta avendo offerto rifugio a Hezbollah, ma anche ai leader di Hamas in esilio e da cui “l’asse di resistenza” coordina movimenti e scelte politiche.
Nonostante le minacce reciproche, i tank al confine e i jet in sorvolo di queste ultime ore, sembra ancora che questa dichiarazione di guerra totale tardi ad arrivare. Uno scenario nel quale, in effetti, entrambi i fronti avrebbero molto da perdere. Inoltre, nel valutare l’appoggio di Hamas a Hezbollah non bisogna mai dimenticare l’atavica faglia tra sunniti e sciiti, oltre al fatto che Hezbollah, sebbene sostenga Hamas, non condivide un ampio coordinamento con il gruppo palestinese. E lo dimostrerebbero anche le parole del leader del “Partito di Dio” di mercoledì scorso: Nasrallah, sebbene non abbia preso le distanze dall’operazione del 7 ottobre, ha ribadito più volte di non esserne a conoscenza. E questa è, nei fatti, una presa di distanza. Anche quando è tornato ai microfoni venerdì, sebbene abbia ringhiato contro “il nemico” sionista, si è dichiarato pronto a barcamenarsi tra questo odio atavico e la necessita di preservare Beirut: “Minaccia ma non morde” ha ribadito Fiamma Nirenstein dalle nostre colonne.
L’atteggiamento “tiepido” di Hezbollah: perchè?
La risposta degli Hezbollah, dunque, resta tiepida, condita da attacchi verbali e lanci di razzi che non rappresentano una novità. Hezbollah fino alla morte di Al Arouri, aveva assunto una posizione attendista, alimentando un conflitto a bassa intensità. Nasrallah si era infatti accontentato di pressare Israele costringendo l’esercito a condurre “una guerra e mezza”. Lo testimonia il fatto che gli attacchi restano comunque localizzati nell’area di pertinenza Unifil, nonostante Hezbollah abbia una potenza di fuoco in grado di colpire ovunque in Israele.
Questo mostra, ipotesi suffragata da numerosi strateghi militari, che l’escalation dei proxy sciiti sia un consueto episodio acuto, che al momento serve a fare da comprimario ad Hamas, senza una reale volontà di condurre una guerra motu proprio: d’altra parte, nel complesso caleidoscopio libanese, Hezbollah è un ospite non gradito da tutti, che per mantenere il proprio status non può cadere nella colpa di trascinare Beirut in una guerra di cui non ha bisogno.
I timori Usa: una guerra da evitare a tutti i costi
Tra i due litiganti titubi, ci sono poi i timori americani. Joe Biden ha inviato alcuni tra i suoi più fidati consiglieri in Medio Oriente con una missione ben precisa: prevenire lo scoppio di una guerra in piena regola tra Israele ed Hezbollah. I funzionari Usa temono che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu possa considerare l’espansione della crisi al Libano come la chiave per la sua sopravvivenza politica, in un momento in cui è circondato dalle rimostranze intestine per l’incapacità del suo governo di prevenire l’attacco di Hamas.
Da Washington, intanto, una nuova valutazione riservata della Defense Intelligence Agency avverte che risulterebbe difficile per le Idf ottenere successo perché le loro risorse e i loro mezzi militari sarebbero troppo sparpagliati a causa del conflitto a Gaza. Un conflitto su vasta scala tra Israele e Libano porterebbe ad uno spargimento di sangue maggiore di quello della guerra Israele-Libano del 2006 a causa dell’arsenale sostanzialmente più ampio di armi a lungo raggio e di precisione di Hezbollah. I proxy di Teheran potrebbero colpire Israele più in profondità rispetto a prima, colpendo obiettivi sensibili come impianti petrolchimici e reattori nucleari, trascinando nel conflitto l’intera regione, intesa si come inner che outer ring. E la campagna elettorale, per ora disastrosa, di Biden.