Quell’intervista di Travaglio in ginocchio a Grillo

Quell'intervista di Travaglio in ginocchio a Grillo

Sveglia pennivendoli, c’è una «questione morale dei giornalisti» sollevata dal Fatto Quotidiano e voi magari neanche ve ne siete accorti: perché siete appunto dei pennivendoli, dei servi, avete fatto spallucce allo «spettacolo desolante» della conferenza stampa di Giorgia Meloni non capendo che «con un’informazione così scadente diventa velleitario pretendere standard etici accettabili da chi governa», quindi ora sveglia, diteci dov’eravate, diteci che cosa facevate anziché «pretendere standard etici» eccetera: posto che al Fatto già lo sanno, vi hanno visto e sentito, eravate lì a far domande perlopiù «vuote», «ridondanti», «lunghissime e autoreferenziali», «roba da «stampa supina». Rendetevi conto: «In nessun caso è stato chiesto se Meloni ritiene opportuno che Guido Crosetto abiti nell’attico di un imprenditore della cybersecurity», in nessun altro caso «è stato domandato della bugia pronunciata sul Mes e sul fax di Luigi Di Maio e Giuseppe Conte», ma soprattutto in nessun caso, su tutto questo, ha fatto domande neanche Marco Franchi del Fatto Quotidiano.

Ma fosse tutto qui. La prima domanda sulla micro-pistola di Pozzolo «è arrivata per quindicesima», e quella sulle politiche migratorie «per tredicesima». Qui lo scandalo, ma anche l’opportunità di porre il quesito che arrovella noi e «molti giornalisti auto-imbavagliati», ossia: quali sono le domande giuste da porre a un Premier, ovviamente rientrando entro «standard etici accettabili»? L’unica, sorry, è guardare come hanno fatto loro, i sollevatori di questioni morali dei giornalisti: andate su youtube e gustatevi l’intervista del Fatto al premier Giuseppe Conte a opera di Marco Travaglio, Paola Zanca e Stefano Feltri (17 luglio 2018) ma alzate bene l’audio perché nel video si vedono perlopiù quadri, arredi e soprattutto tappeti che per qualche ragione si confondono con gli interlocutori. Andate, su, mica possiamo trascrivervi 37 minuti di effusioni.

I meno convinti possono invece tornare all’altro magistero giornalistico srotolato sul Fatto del 13 luglio 2012: la mitica intervista di Marco Travaglio a Beppe Grillo, roba che i colleghi maggiordomi non sanno fare perché loro «non fanno domande», un forcing da mandare a letto i bambini, mica bau-bau micio micio, quindi eccovi un campionario di domande che spaccano: 1) «I partiti preparano liste civiche»; 2) «Il rischio è che fra qualche mese scavalchiate il Pd»; 3) «Il premier può non essere un parlamentare»; 4) «Poi vi tocca governare»; 5) «Ci vorrà un programma»; 6) «In Emilia brucia l’espulsione di Tavolazzi»; 7) «Bersani dice che vuol dialogare»; 8) «Anche Vendola». La carica rivoluzionaria è implicita: le domande non sono domande, manca proprio il punto interrogativo, è un colloquio, una cosa tra pari, non dite che sono frasette interlocutorie inserite a posteriori in mezzo a un monologo: non è vero, anche perché le domande vere poi ci sono, e ne mettiamo solo alcune perché l’intervista era lunga due pagine e figuratevi com’erano ridotte le ginocchia di Travaglio: 1) «Come immagini il prossimo Parlamento?»; 2) «Ma il programma?»; 3) «Non è il caso di prepararsi con una struttura elettiva?»; 4) «Referendum per uscire dall’Europa?; 5) «Se le penali sono alte, l’inceneritore di Parma si fa lo stesso?»; 6) «Vedi mai i dibattiti politici in tv?».

Marzullo, in confronto, era Torquemada.

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