Idea “Legge Ferragni” per la trasparenza della beneficenza

Ferragni, pensati indagata: truffa aggravata sul pandoro

Addio a “furbizie” sulla beneficenza. Dopo il caso che ha coinvolto Chiara Ferragni, il Parlamento – su impulso della maggioranza di governo – dirà basta alla mancanza di trasparenza che ha caratterizzato tutto il pandoro-gate. Il provvedimento nasce sulla scorta dello scandalo (quantomeno mediatico) che ha travolto l’influencer da 29 milioni di follower, multata dall’Antitrust insieme alla Balocco per aver “fatto credere” che una parte dei proventi del dolce natalizio griffato (e dal prezzo maggiorato) sarebbero finiti all’ospedale Regina Margherita di Torino. Quest’ultimo, in realtà, si scoprirà che una donazione da 50mila euro l’aveva già ricevuta, a fronte di un compenso per Chiara Ferragni da un milione. L’obiettivo che si è dato il centrodestra è molto chiaro: riordinare l’intero “far west” della beneficenza. Questo significherebbe in particolar modo impedire a monte pratiche commerciali scorrette e campagne di marketing allusive per promuovere cause che di benefico – a conti fatti – rischiano di avere ben poco.

La maggioranza vuole evitare un altro caso Ferragni

L’annuncio di una nuova legge su questa delicata materia l’ha dato la stessa Giorgia Meloni, durante la conferenza stampa di pochi giorni fa: “C’è una questione di trasparenza sulla beneficenza su cui forse bisogna lavorare“, aveva sostenuta la premier, convinta più che mai a evitare che “il caso singolo” finisca per impattare negativamente sulle realtà del Terzo settore che invece operano con serietà in un ambito “fondamentale“. Meloni era stata quindi chiarissima sotto questo punto di vista: bisogna “capire quali sono oggi le regole di trasparenza ed eventualmente immaginarne di migliori potrebbe essere utile per tutti“. Qualcuno, tra i corridoi di Montecitorio e Palazzo Chigi, l’ha già ribattezzata “legge Ferragni” e il motivo non è per nulla difficile da comprendere.

A quanto trapela, il presidente del Consiglio aveva mobilitato gli uffici del governo già nei giorni scorsi chiedendo “un’informativa” sul tema. Sia il ministero del Lavoro sia quello dell’Economia, direttamente competenti in tutto ciò che riguarda il Terzo settore, si sono messi all’opera. Alcune leggi già esistono, certo. Come quella del 2019 che impone a fondazioni e onlus di rendere noti i contributi ricevuti nell’anno precedente da enti o amministrazioni pubbliche. Tuttavia le criticità nella normativa attuale non mancano, in quanto – nonostante la sanzione prevista per i trasgressori ammonti fino all’1% dell’intera donazione – l’impressione a scorrere le pagine web di molte associazioni benefiche è che la previsione sia rimasta almeno in parte lettera morta.

I dettagli del ddl

Da quai la corsa ai ripari per mettere a punto una legge che in sostanza imponga a chi dichiara di fare beneficenza (in primo luogo ad aziende e società, che in virtù della causa benefica sposata potrebbero veder aumentare le proprie vendite) di rendere note quelle cifre. E di farlo scendendo nel dettaglio. Tra le idee sul tavolo c’è quella di obbligare di specificare se la somma da devolvere è già stata arbitrariamente fissata (e magari già elargita) oppure se essa dipenda in qualche misura dall’andamento delle vendite. E, in quest’ultimo caso, quale percentuale dei guadagni verrà destinata alla causa in questione.

Non mancherà un riflettore anche sulle sponsorizzazioni: l’intenzione, in sostanza, è quella di rendere noto al consumatore se l’eventuale partnership con un testimonial che presta la propria immagine per lanciare il prodotto in questione (come potrebbe essere, appunto, un influencer) sia o meno retribuita. Tutte indicazioni che dovrebbero anche finire nell’etichetta, probabilmente con un asterisco lì dove si specifica che una parte del ricavato verrà devoluta in beneficenza. Quello che è certo è che i numeri dovranno essere rendicontati, conoscibili e disponibili per tutti i consumatori. Questione, per l’appunto, di trasparenza.

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