Come volevasi dimostrare: la scelta di appaltare il copyright della manifestazione di Roma contro la violenza misogina ad un gruppuscolo estremista come «Non una di meno», e alle sue deliranti parole d’ordine, finisce per ritorcersi contro il vero contenuto della manifestazione, e la massiccia partecipazione di gente che non sa neppure chi siano i promotori.
Bandiere palestinesi, cori anti-Israele (del resto, le società islamiste hanno notoriamente a cuore i diritti e le libertà delle donne), ma soprattutto prepotenti avvertimenti contro i politici che decidono di partecipare. A cominciare da Elly Schlein, unica leader presente: le organizzatrici improvvisano addirittura una conferenza stampa per diffidarla dal «fare passerella» e le ingiungono di condividere la loro piattaforma politica: «Solidarietà alla Palestina e alle donne palestinesi vittime del colonialismo sionista». Mentre le rappresentanti del «movimento femminista proletario rivoluzionario» spiegano che i femminicidi sono opera del governo «filo-sionista» Meloni e che «l’abbraccio (sulla legge anti-violenza, ndr) tra Schlein e la premier legittima un esecutivo fasciosessista», qualunque cosa ciò voglia dire.
Insomma si confermano i dubbi e gli allarmi lanciati da chi, alla vigilia del corteo, aveva messo in guardia contro il rischio di avallare una piattaforma che di tutto parla (dal ponte di Messina da bloccare alla «militarizzazione del territorio» a Caivano, dal reddito di cittadinanza alle «telecamere per il riconoscimento facciale prodotte in Israele» e ora «strumento della violenza sistemica dello Stato», oltre che naturalmente della perfidia «sionista») tranne che del tema su cui la gente comune è scesa in piazza. E che censura ogni riferimento agli stupri e massacri etnici di Hamas contro le donne israeliane. «Anzichè unire nella battaglia contro la violenza sulle donne, hanno prodotto una profonda divisione con quelle parole allucinanti contro Israele, ignorando le violenze del 7 ottobre», dice Maria Elena Boschi, che – con Italia viva – ha disertato la manifestazione a causa della sua piattaforma. «Che è quella di un collettivo di estrema sinistra anti-israeliano e filo-Hamas», infierisce Carlo Calenda. Critica anche un’esponente della sinistra come Fulvia Bandoli, già deputata Ds e Sel: «Nel manifesto di una mobilitazione contro la violenza mi aspettavo chiara solidarietà con le donne israeliane stuprate da Hamas pochissimo tempo fa».
Ma anche dal Pd si levano numerose voci critiche: da Pina Picierno a Valeria Valente alla ex ministra Valeria Fedeli: «Mi dispiace veramente che di fronte ad una occasione unitaria per manifestare contro la cultura dello stupro si aggiungano parole d’ordine e temi che sono solo di una parte. Un vero peccato», dice. Prova a dare una spiegazione Fausto Raciti (che era presente alla manifestazione pro-Israele all’arco di Tito all’indomani del 7 ottobre): «Un classico caso di minoranza che prova a far prigioniera la maggioranza di un movimento. Finché la sinistra politica era forte non succedeva. Oggi, quelli che un tempo avrebbero al massimo distribuito i volantini scrivono le piattaforme delle manifestazioni». La filosofa progressista Tamar Pitch è durissima: «Quest’anno non vado alla manifestazione», spiega, perché la sua piattaforma ha aspetti «inaccettabili»: «Non ditemi che si tratta di antisionismo e non di antisemitismo». E conclude: «Io con questa sinistra e questo femminismonon voglio più avere a che fare».