Koinè è una parola greca bellissima e inclusiva: significa linguaggio comune, esperanto prima dell’esperanto, territorio di condivisione e fratellanza. In cucina la “koinè” può essere fertile di idee e contaminazioni all’insegna comunque di una grammatica condivisa e universale. E’ questo concetto alto e fecondo che ha spinto Alberto Buratti a dare questo nome al suo ristorante in centro a Legnano, in quell’hinterland milanese che negli ultimi anni ha dato segni di risvegli a di ribellione a quello strapotere della vicina metropoli che tutto succhia e consuma.
Koinè, di cui Buratti è chef è patron, è luogo accogliente e piacevole, che sin dal modo in cui sono concepiti gli spazi e l’arredamento si manifesta come lontano da certi eccessi da museo di arte contemporanea, da certe algidità concettuali, ma improntato al reciproco ascolto. La cucina è ambiziosa ma nitida, estroversa, pronta a farsi comprendere, a spiegare. Del resto Buratti, classe 1987, ha un curriculum che lo ha portato a lavorare per grandi maestri come Massimo Bottura, Enzo Santin, Eneko Atxa, ma la realtà della provincia lo porta inevitabilmente a semplificare, come solo i grandi sanno fare: avere tutti gli strumenti, ma non doverli usare necessariamente tutti. E poi a tenere con i piedi per terra lo chef è il fatto di essere titolare di un altro locale, un ristorante-pizzeria “molto più semplice”, dice lui, che lo mette a contatto con una clientela popolare nel senso migliore del termine.
Differenti i menu, tutti a prezzi commoventi (che non siamo a Milano si vede anche da questo): 2mq di Orto (6 piatti, 55 euro), Mercato (a mano libera: 5 portate a 65 euro, sette a 75, nove a 90), Piatti Firma (cinque portate a 60 euro), Piccolo Piatti Firma (quattro portate a 50 euro) e Radici, che punta l’attenzione sui grandi classici della lombarditudine (Risotto, Costoletta e un dolce) a 55. Poi c’è la carta, a cui ho attinto io spigolando tra le varie playlist: si parte con degli snack in passerella, omaggio all’enfant du pays Gian Franco Ferrè, poi un Consommé vegetale a base di spezie davvero confortevole. Si entra nel vivo: Involtino di verza ripieno di verdure saltate al wok con spezie orientali e una salsa al pomodoro, vero incontro tra mondi gastronomici (ricordate il concetto di “koinè”?), piatto che è il manifesto della cucina burattiana, sobrio eppure godibilissimo. Poi un Tacos Martini: nel bicchiere un’ostrica con una spuma di Sauvignon e lemon koji, e un tacos di sedano rapa con insalata capricciosa fatta in casa e chips di topinambur. Poi un signature, uno Spaghetto in cagnone la cui cottura è terminata con il burro nocciola e poi polvere di salvia e aria di prezzemolo, a cui forse gioverebbe solo un minuto di cottura. Poi cappone ripieno di foie gras con brodo ristretto di cappone e radicchio stufato e gelatina di mandarino. Poi un piccolo predessert, un ottimo cannolo “in Piemonte”, nel senso che è riempito di una crema alla nocciola. Spassoso invece il dolce vero e proprio, il Cookies&Cream che cita un famoso gelato in barattolo: gelato alla crema fatto in casa completato con vari ingredienti pescati al momento da vari barattolini: frutta secca caramellata, sbriciolata di cioccolato, brownie, cioccolato frizzante, caramello e biscottino di frolla.
Servizio piacevole affidato al compunto Fabio Consolaro (maitre e sommelier), che gestisce una cantina adeguata, ricca di referenze lontane dal mainstream, come diversi rifermentati.