La Casa Bianca si prepara al peggio in vista di una possibile escalation della crisi in Medio Oriente cominciata con gli attacchi di Hamas del 7 ottobre. Alcuni funzionari dell’amministrazione Biden come riferisce il sito Politico starebbero approntando piani di risposta a scenari sempre più probabili che prevederebbero un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella regione.
Numerosi i motivi di allarme. In parallelo alla guerra tra Israele e gli islamisti nella Striscia di Gaza i proxies filoiraniani in Yemen, Siria ed Iraq hanno infatti moltiplicato gli attacchi contro le truppe americane presenti nell’area e il traffico commerciale da e verso il Canale di Suez è stato in gran parte deviato per gli assalti degli Houthi. Il “colpo chirurgico”, attribuito agli israeliani, che ha neutralizzato il numero due dell’organizzazione islamista a Beirut e l’attentato in Iran, rivendicato dall’Isis, hanno poi negli ultimi giorni contribuito a far salire ulteriormente la tensione.
Una delle situazioni più preoccupanti riguarda le provocazioni degli Houthi nel Mar Rosso. Gli Usa insieme agli alleati hanno rivolto un ultimatum ai miliziani yemeniti invitandoli ad interrompere i lanci di droni e gli assalti, 25 dalla fine di novembre, contro i mercantili minacciando in caso contrario “gravi conseguenze”. Politico indica come i militari americani avrebbero già predisposto un piano per colpire obiettivi legati agli Houthi in Yemen spostando anche a tale scopo la portaerei Dwight D. Eisenhower dal Golfo Persico al Golfo di Aden. La Cia starebbe inoltre intensificando le operazioni di intelligence per sventare nuove azioni contro le truppe americane in Iraq e in Siria prese di mira nelle scorse settimane.
Sin qui Washington ha moderato la risposta militare contro i proxies di Teheran per non provocare la reazione iraniana e ha agito dietro le quinte per convincere il regime degli ayatollah a tenere a bada i suoi alleati nella regione. La Casa Bianca avrebbe però raggiunto la conclusione che gli sforzi profusi non hanno ottenuto il risultato sperato e gli uomini del presidente si aspettano nei prossimi giorni addirittura un incremento delle attività ostili da parte dell'”asse della resistenza” in Medio Oriente.
Sembra quindi avvicinarsi il punto di rottura che porterebbe alla deflagrazione di un conflitto esteso all’intera regione e protratto nel tempo in un anno cruciale per gli Stati Uniti chiamati il prossimo novembre al voto per le presidenziali. Lo scenario che in molti al 1600 di Pennsylvania Avenue temono è una paralizzante crisi in politica estera che, come successe nel 1980 all’allora presidente Jimmy Carter, impedisca al candidato democratico di ottenere un secondo mandato aprendo così la strada al ritorno di Donald Trump, al momento indicato nei sondaggi come il favorito alla nomination repubblicana.
“Sebbene gli Usa stiano cercando di evitare che la guerra di Gaza si espanda non tutto dipende da noi” dichiara Mick Mulroy, ex funzionario del Pentagono durante l’amministrazione Trump aggiungendo come starebbero suonando“tutti gli allarmi per l’esplosione di un conflitto regionale”. Justin Logan, esperto del Cato Insitute afferma che “ai presidenti uscenti vengono sempre addossate le responsabilità degli eventi negativi, che sia colpa loro oppure no”. La posta in gioco per Joe Biden non è mai stata così alta. Il presidente ne è consapevole e di qui a novembre toccherà a lui provare a salvare non solo il Medio Oriente ma anche la sua presidenza.