Che cibo farà nel 2024? Lo chiediamo agli esperti. 5/La parola

Che cibo farà nel 2024? Lo chiediamo agli esperti. 5/La parola

Concludiamo oggi il nostro sondaggio sulle tendenze gastronomiche del 2024. L’ultima domanda rivolta a giornalisti, critici e food editor era l’invito a indicarci la parola del 2024. E mai come stavolta le risposte sono state varie.

Nadia Afragola (Panorama)

Altitudine.

Giovanni Angelucci (conduttore tv Gambero Rosso Channel)

Gaudente.

Francesca Romana Barberini (food&wine reporter, “Segreti in Tavola” su RDS)

Piacere.

Sostenibilità cuomo

Davide Bertellini (critico gastronomico e direttore marketing di Passione Gourmet)

Fuoco.

Maurizio Bertera (Gazzetta dello Sport, La Cucina Italiana, Vanity Fair, Gambero Rosso)

Piatti alla carta: perché la gente mai come adesso vuole scegliere cosa mangiare e per risparmiare ne prende due.

Rossana Brancato (James Magazine)

Scarpetta. Il pane è tornato a essere celebrato e servito come portata nei menù degustazione, accompagnato da olio extravergine d’oliva, burro aromatizzato e voluttuose salse ed intingoli.

Chiara Buzzi (Linkiesta Gastronomika)

Profondità.

Martina Carnesciali (Il Gusto)

Zero Waste: l’etica sostenibile come frontiera della gastronomia, un ecosistema culinario.

Alberto Cauzzi (vicedirettore della guida ristoranti de l’Espresso)

Sicuramente avanguardia.

Vincenzo Chierchia (Il Sole 24 Ore)

Health, health, health: c’è tanta voglia di gusto ma con grande attenzione alla salute e all’ambiente.

Francesca Ciancio (giornalista gastronomica)

Plant food.

Marco Colognese (Reporter Gourmet eccetera)

Libertà, libertà di esprimere una cucina libera da vincoli e da imitazioni.

Antonella De Santis (Gambero Rosso)

Ne metto due: semplificazione ed estemporaneità (nel senso che credo che accanto ai normali menu e alle serate tradizionali ci saranno sempre più eventi di cucina improvvisata o ristoranti nei ristoranti con piatti creati su quel che offrono i produttori quel giorno o altre esperienze in cui si cucina in maniera più immediata e senza la ritualità dell’alta ristorazione. Non mi viene in mente una parola più precisa per ora).

Massimo Di Cintio (giornalista)

Verità. Nei piatti, nei comportamenti, nel giudizio dei giornalisti e degli influencer.

Valentina Dirindin (Repubblica, Vanity Fair, Dissapore)

Rigore.

Marco Gatti autore IlGolosarioRistoranti GattiMassobrio

Non spreco.

Giulia Gavagnin (La Verità)

Concentrazione.

Marco Gemelli (_Il Forchettiere, Forbes, Food&Beverage, Lust Auf Italien)

Avanguardia, dovendo indicarne soltanto una. Mentre vieterei per decreto la combo “tradizione e innovazione”.

Chiara Giovoni (Ambasciatrice della Champagne in Italia e Wine Expert (Spirito diVino e WineNews)

Origini, inteso come ritorno alla convivialità, alle atmosfere familiari (anche da trattoria), oltre che origini Made in Italy degli ingredienti.

Manlio Giustiniani (Champagne e wine expert James Magazine)

Tradizione (più tradizione e meno rivisitazioni inutili).

Andrea Gori (intravino, Business People)

Famiglia e AI.

Andrea Grignaffini (direttore Guida Espresso Ristoranti)

Riflessione.

Carla Icardi (direttore Food MNcomm)

Degustazione.

Åsa Johansson (giornalista freelance)

Sobrietà.

Camillo Langone (Il Foglio, Il Giornale)

Peculiarità.

Lara Loreti (responsabile Wine&Spirits del Gusto)

Vegetale, che non vuol dire vegano ma che vuole evidenziare la rivincita di piatti dove le verdure non sono solo contorno ma si mettono al centro.

Sara Magro (Condé Nast Traveller e Il Sole 24 Ore)

Semplicità.

Giambattista Marchetto (direttore Vinonews24)

Slancio e tenuta.

Paolo Marchi (Identità Golose)

Qualità, della vita e del lavoro.

AI CUOMO

Valentina Marino (Gambero Rosso)

Agricolo. il ritorno alla campagna è uno dei nostri “grandi” bisogni, sia in termini di narrazione e di marketing sia come reale necessità ambientale ed economica (riciclo, economia circolare, orto).

Tania Mauri (Cook inc)

Gustosa leggerezza.

Anna Mazzotti (food editor di Vanity Fair)

Una cucina sana, legata al passato e al territorio, ma capace di stupire: una sola parola? Virtuosa.

Cristina Mercuri (DipWSET, wine educator and presenter, founder @ Mercuri Wine Club)

Pulizia. Come per il vino il termine è destinato a diventare rilevante anche per la cucina. Le persone cercano piatti ben eseguiti, ma dalla grande definizione di sapori. Nessuna abbondanza, nessuna opulenza, basta con i piatti dai mille ingredienti. Si cerca qualità, eleganza ed espressione delle materie prime.

Michele Mezzanzanica (Il Giorno e Qn Itinerari)

Marinatura. Dimmi che sei crudo senza essere crudo, dimmi che sei cotto senza essere cotto. Una tecnica che valorizza numerosi elementi della cucina, spostandosi inoltre con la filosofia antispreco.

Alessandra Moneti (Ansa e Terra e Gusto)

Manga, non è una parola prettamente gastronomica ma fumetti e anime giapponesi ispirano menu in tutta Italia.

Anna Muzio (giornalista freelance)

Stare bene con sé stessi e con il mondo (salubrità e inclusione).

Francesca Negri (direttrice fancymagazine.it)

Semplicità.

Carlo Ottaviano (Il Messaggero)

La stessa dello scorso anno: sostenibilità (nella scelta dei prodotti, nel risparmio energetico e nell’evitare sprechi, nel rispetto anche economico dei collaboratori e delle tasche dei clienti).

Laura Pacelli (giornalista e marketing manager Tenute Pacelli)

IA. Non abbiamo visto ancora niente…

Antonio Paolini (co-curatore Guida Ristoranti Gambero Rosso)

Coerenza e consapevolezza.

Carlo Passera (Identità Golose)

Si continuerà a parlare di sostenibilità, spesso a sproposito.

Bruno Petronilli (direttore James Magazine)

Tradizione.

Luciano Pignataro (Il Mattino)

Divertimento: la gente è stanca di rituali pesanti e sequestri di persona: vince chi alleggerisce non solo i piatti ma anche il servizio.

Filippo Piva (GQ)

Equilibrio, sotto tutti i punti di vista.

Anna Prandoni (direttrice Linkiesta Gastronomika)

Conti. Farli quadrare sarà la grande sfida: economica, sociale e di sostenibilità.

Federico Quaranta (conduttore radiofonico e televisivo)

Con-fusion.

Isabella Radaelli (giornalista gourmet e viaggiatrice)

Tradizione. Un ritorno alle origini, ai sapori di una volta, una comfort zone del cibo rassicurante e soddisfacente.

Andrea Radic (Giornalista e conduttore tv)

Concretezza, da declinare nella bellezza e bontà delle cucine capaci di proporre la grandezza della semplicità. Da riscoprire il Bollito Misto, il Carré cotto intero, la lasagna a sette strati, il brodo che esalta il tortellino. Ancora una volta “Grande Cucina di Tradizione”.

Edoardo Raspelli (cronista della gastronomia)

NoCazzeggio.

Camilla Rocca (giornalista free lance)

Nolow: low e no alcol per cocktail e vini.

Fernanda Roggero (Il Sole 24 Ore)

Fuoco.

Leila Salimbeni (direttore Spirito DiVino)

Leggerezza.

Margo Schachter (food&lifestyle editor)

Autenticità.

Roberta Schira (scrittrice e critico gastronomico)

Classicamente contemporaneo.

Luca Sessa (Guide de L’Espresso)

Ancora sostenibilità e/o green, nella speranza che possano rappresentare filosofie concrete e non solo slogan di facciata.

Gualtiero Spotti (Cook Inc)

Spreco.

Luciana Squadrilli (Food&Wine Italia)

Pensiero.

Luca Turner (Passione Gourmet)

Esperienza.

Cristina Viggè (Fuori Magazine)

Concretezza. Traduzione: cibi semplici, comprensibili, confortevoli ed etici, dal forte legame con la terra (o con il mare).

Adua Villa (#globetrottergourmet)

Artificiale: uso dell’arte per ottenere fini determinati, quindi abilità, maestria nell’operare (cit. Treccani).

Valerio Massimo Visintin (Corriere della Sera)

Qualche guscio vuoto, tipo “sostenibilità”. Slogan di larga vaghezza per mettersi la coscienza a posto.

Gabriele Zanatta (Identità Golose)

Pasta.

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