Così l’Occidente si svende alla Cina anche per un pugno di saldi

Così l'Occidente si svende alla Cina anche per un pugno di saldi

Quando Tim Cook spostò la produzione degli iPhone in Cina, si giustificò disarmando ogni critica: «Lavorano tanto e costano poco». A seguire arrivarono tutta la Big Tech, e oggi il 90% degli smartphone arrivano da lì. Dove, Huawei insegna (e il perché del ban di Donald Trump pure), in una decade hanno finito per diventare più bravi a maneggiare magnificamente la tecnologia. Ma come? Dalle grandi corporation alle nostre tasche il passo è breve, e il caso del momento, ovvero Temu, ne è l’esempio. Così come le aziende occidentali e i loro governi si sono accorti del pericolo per la propria sicurezza, ecco che l’app di shopping di digitale è improvvisamente diventata un piccolo mostro da cui diffidare. Insomma: che cos’è Temu? E soprattutto davvero è un mezzo con cui Pechino acquisisce i nostri dati per spiarci? Nonostante le accuse americane, per ora non ci sono prove certe di spyware. Ma usare la logica aiuterebbe, se un negozio ti invita ad acquistare «come un milionario» a qualche euro. «Abbiamo eliminato i passaggi tra produttore e consumatore», si difendono. Già, ma che dire dell’Apple Watch Ultra 2, 909 euro in Italia, disponibile a circa 20? Sembra proprio lui, ovviamente non lo è. Insomma: Temu, ovvero «Team Up, Price Down», è un’azienda nata a Boston, di proprietà però cinese, con sede a Dublino (meno tasse). E non è sostenibile, non chiede password e non dà sicurezza per chi acquista con carte di credito. Basterebbe questo. Eppure Apple dice che Temu è stata l’app più scaricata sul suo store nel 2023, quando il fatturato dell’azienda cinese è passato da gennaio ad aprile da 3 a 400 milioni di dollari. Chissà poi. Mancano risposte, ma non ci facciamo neppure le domande. Tipo questa: quanto siamo disposti a risparmiare per farci fregare?

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